17 dicembre 2006

La domenica del villaggio globale

Sono sicuro che sia la mia fragilità ad essere il miglior viatico per la trascendenza, non parlo di una melodia, di un mucchio di parole poste in posti rari, a volte come immagini poetiche di chissà quale mondo surreale, una mano gigantesca che tiene tra l'indice e il pollice un minuscolo cuore, forse il mio, che pulsa solo quando nell'aria passa l'energia che trafugo proprio dalle cantine delle parole, dei suoni.
L'astrazione della creatività è un processo intrinsecamente e inconsapevolmente arrogante, perché finché il cielo azzurro lo guardi sei uno qualunque ma quando quel cielo lo vedi azzurro allora credi di essere tu a poter dare i colori alle giornate, forse è così, forse no, in fondo è solo una questione di fede, percepisco le vibrazioni di un serpente a sonagli mentre sono steso su un letto matrimoniale senza cuscini, sono in lavatrice, che senso avrebbe sbattersi così tanto per fuggire dai morsi, trovare un lavoro, scrivere dell'amore platonico di una puttana e del suo figlio sconosciuto partorito per strada e cresciuto in un orfanotrofio.
Gli angeli aleggiano intorno alle tombe degli eroi e gli eroi aleggiano intorno alle tombe della ragione, e la corona di spine come le rose rosse splendide da cui provengono sono le ragioni del cuore che la ragione non conosce. E ci uccideremo come tutti gli altri esseri viventi, saremo cannibali, necrofili, finti osservatori interessati della merda d'artista, sappiamo che quella è merda eppure è lì che volgiamo lo sguardo. La nostra madre non è la merda, e non vorremmo neanche che fosse nostra figlia, oddio, ci siamo imprigionati nella nostra libertà?
Potremmo accendere tutto il mondo senza elettricità, senza il minimo bisogno di un cavo, di una spina, l'infinita potenza dell'uomo che porta però con sé, a onor del vero, un'infinita dose di stupidità del creatore, non me voglia male, ma il dubbio che non gli siamo venuti troppo bene rimane.
Il cucchiaio colmo di brodo di dadi fino all'orlo si avvicina alla bocca di un anziano signore, è una scena lenta, molto lenta come il miele, nell'arco di un'intera esistenza che dura finché il brodo è caldo, a volte sembra rimanere anche dopo che è diventato gelido come prova che forse qui siamo solo di passaggio. Ma non c'è il rischio che cadano delle gocce o peggio ancora cada il cucchiaio? Sì, questa è l'incertezza che accompagnerà ogni boccata di quel brodo che attinge dalla fonte della vita, per questo è un continuo giocare a dadi, ma perché rifiutare il pasto quando è la nostra vita ad aver fame, perché rifiutare di lanciare i dadi?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Pensa, un mese prima di questo tuo post, io ne ho scritto uno sul mio blog intitolato "Il sabato del villaggio globale"...strano no? :)

Nico Guzzi ha detto...

Strano sì, vuoi vedere che siamo la stessa anima in due corpi diversi