30 settembre 2005

La resa

Questo componimento è dedicato ad Isabella di Morra, poetessa del 500 nella quale mi sono imbattuto grazie alle mie ricerche personali; la sua storia, che non vi narrerò, è piuttosto toccante e tragica, mi ha colpito; questo è un piccolo dono in ricordo della sua vita.
Il parallelo di questa poesia è quello tra un uomo che è rimasto dove ha sempre vissuto illudendosi che prima o poi le cose sarebbero cambiate ed Isabella le cui speranze per un amore a cui dare un completo sfogo sono state strappate dalla morte precoce e non dalla rassegnazione a cui si abbandona questo uomo che smette perfino di amare, cioè l'unica cosa che riusciva in passato in quel grigio quartiere a riempire la sua vita e a donargli la vista di un futuro all'orizzonte. Così Isabella si sveglia per piangere perché quell'amore in vita non lo vivrà mai, mentre l'uomo della poesia vive, ma senza lasciare traccia (o perlomeno è quello che crede), affiancando un istante all'altro, si è convinto che per nessun momento della sua vita vale più la pena di spender memoria; probabilmente la riflessione amara e paradossale è che lui è in realtà più morto di Isabella.

La resa

Mi sveglio la notte
a forza di botte
tra il grigio sgualcito
del mio quartiere,
un pantano armato
d'improvvisazione per
un po' d'acqua e un po' di pane.
Il giorno è andato a male.
Nessuno ce lo disse
alle 24 della rivoluzione,
nessuno ce lo chiese
alle 24 e uno della rassegnazione,
ci si volle convincere che era per noi
che si bruciavano spiagge
discoteche e chiese.

Ed Isabella di Morra dorme sul suo altare
di fiori secchi e specchi
crepati come i nostri figli.
Non ci facciamo più compagnia,
a bocca asciutta ci tocchiamo,
ad occhi aperti ci baciamo,
e c'era una volta un amore
che cacciava i fantasmi di questo quartiere,
c'era una volta un odore di passione
note di testa cuore e fondo impastate al sudore.
Mia madre ripeteva che
un giorno sarei fuggito da qui
con il primo treno colorato.
Mia madre sperava, ma ancora oggi
Isabella si sveglia per piangere.

La mia resa è giunta anticipata,
in solitaria e in solitudine,
da allora non concedo più lacrime
alla mia anima arrangiatasi apatica
in un mondo perpetuo di sole ombre,
senza disperazione, senza dolore,
è il vuoto incontrastato e dominatore.
Non ha più senso ricordare.

29 settembre 2005

Una simpatica email ricevuta

Sull'attendibilità di quanto scritto successivamente io non ne so niente ma anche se fosse tutto inventato è piuttosto ridicolo e divertente quello che ne è venuto fuori.

Com'è noto il mouse dei computer si chiama in francese "souris", in spagnolo "raton", in tedesco "maus" e solo noi, invece di chiamarlo "topo", lo chiamiamo "mouse". Gli americani della IBM non lo sapevano e hanno tradotto un po' troppo letteralmente un loro manuale di istruzioni distribuito in tutte le filiali del mondo, tra cui quella italiana. Il seguente è un memorandum, realmente distribuito agli impiegati di tutte le filiali statunitensi IBM. Nelle intenzioni di chi lo ha scritto è assolutamente serio, la traduzione è stata fatta dagli americani per gli impiegati della IBM Italia:

Le palle dei topi sono oggi disponibili come parti di ricambio. Se il vostro topo ha difficoltà a funzionare correttamente, o funziona a scatti, è possibile che esso abbia bisogno di una palla di ricambio. A causa della delicata natura della procedura di sostituzione delle palle, è sempre consigliabile che essa sia eseguita da personale esperto. Prima di procedere, determinare di che tipo di palle ha bisogno il vostro topo. Per fare ciò basta esaminare la sua parte inferiore. Le palle dei topi americani sono normalmente più grandi e più dure di quelle dei topi d'oltreoceano. La procedura di rimozione di una palla varia a seconda della marca del topo. La protezione delle palle dei topi d'oltreoceano può essere semplicemente fatta saltare via con un fermacarte, mentre sulla protezione delle palle dei topi americani deve essere prima esercitata una torsione in senso orario o antiorario. Normalmente le palle dei topi non si caricano di elettricità statica ma è bene comunque trattarle con cautela, così da evitare scariche impreviste. Una volta effettuata la sostituzione, il topo può essere utilizzato immediatamente. Si raccomanda al personale esperto di portare costantemente con sé un paio di palle di riserva, così da garantire sempre la massima soddisfazione dei clienti. Nel caso in cui le palle di ricambio scarseggino, è possibile inviare richiesta alla distribuzione centrale utilizzando i seguenti codici:
PIN 33F8462 - Palle per topi americani

PIN 33F8461 - Palle per topi stranieri

A Valle d'Estate

Sono ancora vivo nonostante l'amore sia una delle avventure più pericolose e scostanti della vita, quasi tutte le cose migliori hanno un lato negativo da esporre ma non credo sia abbastanza per abbandonare. E' un continuo ondeggiare emotivo dal bianco al nero e viceversa, la mediocrità è grigia, scialba e senza amore.

A Valle d'Estate

In un quadro di una sera ho intravisto
quell'oceano che pacifico si stende
a coperta tra le pieghe della casa
che ho sognato, il tuo dono a me gradito

Alle spalle la mia luna gira e gira
al tuo sole, il tuo splendido sapore
dalle drupe del sambuco il ricordo di una goccia
scivolare tra le labbra ormai dischiuse

Quanto ancora, quanto tempo come lune
è beato ogni mio senso in su le cale tue.
Io non penso e non ho voglia di pensare
al futuro ho ceduto il bisogno di capire

E se un giorno sarà freddo e tramontana
il favonio troverò in un angolo dell'anima:
i sorrisi e i tormenti soffieranno accoglienti.

28 settembre 2005

Intervista con l'impiccato

Un giornalista inglese di nome David T. invitò a bere un caffé Mouslin I., un falegname di un poverissimo paese le cui sbiadite sorti non erano differenti da tutti gli altri centri abitati o sopravvissuti dei territori vicini. Lo sguardo di Mouslin rivelava un certo imbarazzo dovuto probabilmente alla rarità di quell'evento, era insolito che a qualcuno potesse interessare le parole di un uomo così misero, disgraziato, era insolito che un uomo così diverso venisse da un mondo lontano per chiedergli chissà che.
Ma ben presto David si accorse che l'imbarazzo era scomparso dopo qualche scambio di occhiate, Mouslin s'immerse nel racconto della sua vita senza che gli si dovesse porgere alcuna domanda.
“Io vivo qui ma sono morto tanto tempo fa, il mio cuore è morto, i miei amici, i miei parenti, i miei cari vivono qui proprio come me, per nostra sfortuna siamo nati qui, invece che altrove. Siamo uomini senza speranza, senza sicurezza, un giorno si mangia e si beve e l'altro no; ho visto morire davanti ai miei occhi mio figlio Ahmad, 7 anni, il suo terrore, il colpo di pistola attraversagli il petto; i bambini a volte vanno a giocare e non tornano più, saltano in aria su mine antiuomo, vengono rapiti, ma come si fa a negare a un bambino la gioia di giocare? Le nostre case sono delle catapecchie, è quasi impossibile trovare acqua potabile, il nostro lavoro è cercare di sopravvivere, noi siamo le vittime di un regime militare, di lotte continue di potere, non abbiamo libertà tanto che credere a quello che ci viene impresso con la forza sembra l'unica via di salvezza per riuscire ad accettare la nostra esistenza. La ribellione e il coraggio di opporsi sono sinonimi di morte, noi non abbiamo più uomini che ci possono rappresentare e difendere perché sono stati tutti uccisi. C'è un motivo per cui continuo a vivere, perché ai nostri figli non sia negata la speranza di condurre una vita decente ed umana, quella che non abbiamo noi adulti. Io sono riuscito a leggere molti libri e guardare anche la televisione, anche se ci è stato proibito, ho messo molte volte in pericolo la mia vita e quella della mia famiglia; purtroppo mi sono accorto che è impossibile fare una ribellione razionale, perché anche tra di noi c’è chi difende il regime, chi difende clan locali, ci sono infiltrati, spie. E’ l’inferno. Leggendo libri di filosofia, di arte, alcuni tra i figli della vostra cultura, provo come un senso di vuoto, mi sembrano cose scritte da alieni, mi è impossibile pensare che l’uomo cerchi di dare una spiegazione razionale dell’esistenza di Dio, noi ci crediamo e basta, non ci abbiamo mai riflettuto come del resto a quasi tutto quello che facciamo; è questa la fondamentale differenza; quando potremo avere la possibilità di occuparci di cose che al momento consideriamo inutili? In Occidente avete il problema della bulimia, magari potessimo permettercelo noi! Siamo completamente abbandonati al destino” e concluse, “spero che un giorno verrà a trovare e a parlare con un mio figlio o un mio nipote consegnandogli questa intervista, magari dopo il crollo del regime, dopo la fine del conflitto; la nostra dignità ed identità non andrà mai persa, di questo ne sono sicuro”.
Si fermò, voleva piangere ma non cedette, era stanco di versare lacrime, fece cenno a David mentre tentava di fare una domanda che l'intervista era finita e che non avrebbe aggiunto nient'altro. I due si diedero prima una stretta di mano formale ma dopo qualche secondo David non riuscendo a trattenersi si avvicinò a quell'anziano e barbuto signore e lo abbracciò, con forza, sentiva di provare compassione, pietà ma anche ammirazione e affetto. Mouslin aveva una personalità molto attrattiva, un'eleganza ed un orgoglio che facevano a pugni con la sua tremenda vita di miseria, riusciva a calamitare sempre l'attenzione delle persone che provavano ad ascoltarlo.
David pubblicò l’intervista o più precisamente la nuda e cruda descrizione di un dramma quotidiano; dopo un mese Mouslin fu impiccato in piazza con sentenza di un tribunale che lo giudicò in pochi minuti come un cattivo esempio che avrebbe spinto il popolo ad organizzarsi ed il popolo non può e non deve farlo perché c'è già chi comanda e lo dirige in ogni suo aspetto della vita quotidiana. Mouslin non è il solo e non sarà il solo a morire per aver cercato la libertà.
David non fu capace di perdonarsi in vita sua la pubblicazione di quell'intervista.

26 settembre 2005

E se Dio non sapesse di essere Dio?

E' una domanda forse paradossale, forse provocatoria, e perché no, potrebbe non avere alcun senso, del resto è impossibile rispondere ad essa con certezza; fingiamo ironicamente che sia così, che un Dio ci abbia creato senza essere pienamente consapevole di ciò che stava facendo e di ciò che accade oggi sulla Terra, un Dio un po' immaturo, proprio come l'uomo; a questo punto forse sarebbe comprensibile perché non venga così spesso in aiuto dell'umanità, ammesso che ne sia degna (io credo di sì, almeno in parte). Per questo motivo se è vero che dopo la vita c'è un inferno, un purgatorio e un paradiso qualche dubbio e timore sull'attenzione-distrazione di chi è addetto al giudizio finale (un Dio) potrebbe sorgere. In queste parole non c'è un delirio di onnipotenza o una smisurata presunzione di poter giudicare una presenza-assenza di un Creatore, il mio è un ragionamento atipico intorno alla fede. Non posso fare a meno di considerare nella mia vita la spiritualità, c'è un legame ed una tensione tra materiale ed immateriale che non posso e non voglio trascurare, non riuscirei a vivere pensando di essere un semplice organismo naturalmente partorito in un sistema spazio-tempo e altrettanto naturalmente provvisto, nella finitudine del suo essere corpo, del principio degenerativo della materia, quello che conduce alla morte. Lo spot pubblicitario all'americana sarebbe: “I want to believe”

Jacob e Hope

Da “Un matto”, Fabrizio De André, 1971

“ Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza tra un villaggio che ride
e te, lo scemo che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro ”

Niente sembrava com’era...

Estate 1977, erano circa le tre e un quarto di notte, Jacob si svegliò di soprassalto, gli era parso di sentire un tonfo e il cigolare di una porta. Spalancò gli occhi ma l’oscurità lo avvolgeva, non poteva vedere nulla, era tutto sudato, cercava di tranquillizzarsi ma non ci riusciva, alle sue orecchie non era giunto più alcun suono se non quello del piccolo orologio a pendolo sul suo comodino,per fortuna pensò; questa del resto è la reazione di molte persone quando capita di svegliarsi nel bel mezzo della notte per un rumore, a volte non si ha il coraggio e la voglia di andare a vedere se è tutto a posto e allora si sceglie di stare con le orecchie più vigili che mai, sperando di non sentire più nulla; Jacob però non riusciva a riaddormentarsi, decise di alzarsi, si accorse mentre era seduto sul letto che il cuore gli batteva ancora forte e non accennava a rallentare; la lampada da notte non funzionava, si era rotta cadendo un paio di giorni prima. Finalmente in piedi camminò, come uno zombie, o come qualunque persona che cerca di trovare l’interruttore della luce nel buio muovendosi con le braccia in avanti per evitare spiacevoli sorprese; rischiò di perdere l’equilibrio pestando le ciabatte ma riuscì a ristabilirsi, tastando con le mani la porta e poi il muro finalmente accese la luce, un certo sollievo sembrò trasparire dal suo volto, diede un’occhiata alla stanza, si intravide nello specchio del comò e l’agitazione tornò come un maremoto inatteso, uscì dalla stanza nervoso, accaldato e con un martellante mal di testa, passò per il corridoio, prese dei fiammiferi e accese un paio di candele, poi improvvisamente si fermò.
"Non sono così", urlando "non lo sono", ancora "non voglio esserlo!", gridando più forte, aveva il viso infuocato, le vene del collo gonfie, il respiro frenetico, lanciava una serie di insulti ad alta voce, il tutto mischiato in un oceano di lacrime. La follia negli ultimi due mesi andava e veniva, con picchi di violenza sempre maggiori, il mal di testa e le convulsioni si alternavano a stati di incoscienza, di trance e di profonda tranquillità, apatia, passività.
Nella sola percezione dell'immagine che aveva Jacob di sé Jacob esisteva e non più in una vicina e costante relazione con gli altri i quali nella sua mente erano solo un ricordo lontano, su quale fosse la sua vera immagine egli lo sapeva bene, o per lo meno credeva di saperlo, a differenza di chi l'aveva sempre tralasciato in quegli ultimi anni della sua vita dopo un giudizio furtivo, la differenza tra ciò che era e ciò che vedeva nella sua mente non esisteva e nessuno era lì a fargli comprendere, a farlo riflettere, la sua follia derivava proprio dal non vedere sempre allo stesso modo quella che lui considerava la sua vera identità, mentre la gente si chiedeva e rispondeva superficialmente con sentenza preventiva per strada: “Che senso ha cercare di capire qual’è il proprio essere se si è matti?” aggiungendo “Che Dio l’aiuti”, visto che loro non ne avevano il tempo per farlo.
Se le persone normali si scompongono in tanti io, dei quali uno prevale e riesce ad amalgamare la maggior parte delle parti del proprio essere relegando ad anfratti della mente quelle meno socialmente fruibili, Jacob, nonostante non avesse fatto mai fatica a dire “Io sono...”, non riusciva ad identificarsi, una persona o tante persone era Jacob? il risultato è semplicemente ciò che la gente definisce uno scherzo della natura, un pazzo, una persona da rinchiudere in manicomio.
Se nella solitudine molti possono trovare risposte alle proprie domande più intime, per Jacob non era che la situazione migliore in cui potesse svilupparsi il processo degenerativo della sua mente, la distruzione era alle porte e nessuno si sarebbe più posto delle domande sul suo conto perché in società non c’è posto per tutti.
Lo specchio per Jacob diventava umano, nei tratti peggiori dell'uomo, lo scherno, l'odio, la tortura, anche se quello specchio era inanimato; ma un mondo non può esistere se esiste anche solo nella mente di una persona? Perché è proprio la mente della persona che permette quel transfert tra l’individuo e il mondo esistente, forse ciò che si definisce reale ed irreale è semplicemente ciò che è assodato per la maggioranza e non perché sia la verità assoluta; dunque su quale sia il mondo vero non potrebbe a buon ragione sorgere sempre un dubbio? Non è forse questo il risultato di anni e anni di riflessioni filosofiche, scientifiche, sociali, artistiche, dal dubbio metodico di Kant alla teoria della relatività di Einstein?
Così lo specchio sembrava divertirsi a deformare l'immagine di Jacob che lo fissava ore e ore per cercare di capire, ma ricadeva sempre nella stessa sensazione, di non sentirsi unico ma un insieme di personalità a cui non poteva dare alcuna forma di controllo e limitazione.
Erano lontani quegli anni della sua infanzia in cui le amicizie e la gente lo riempivano di gioia, nonostante fosse stato sempre considerato un po’ matto, nel senso buono del termine, era solito essere sfacciato ed irriverente verso tutti, una sincerità ed una velenosa ironia che gli creava parecchi nemici ma anche molti amici che a quel tempo gli erano fortemente legati e lo vedevano come modello, “sei un mito!” gli ripeteva spesso John, erano altrettanto lontani i tempi in cui il padre lo portava a vedere le partite dei “leoni zebrati” fino a undici anni, quei momenti dell’infanzia in cui aveva sognato di poter diventare un giorno un attore, quanto amava Ciarly Chaplin, voleva diventare proprio come lui, aveva già compreso allora come la vita si muovesse, un’altalena tra comicità e tragedia, queste due componenti della vita si mischiavano, cambiavano, si allontanavano, si riavvicinavano, questa era la sua interpretazione; lontana era nella memoria la madre, l’amore per lei era sempre stato intensissimo e per questo il padre aveva avuto inconsci atteggiamenti di gelosia verso il figlio, erano lontani i primi baci di Stella, la sua unica ragazza, il suo secondo amore, tutto ciò che era rimasto del passato era in quella casa isolata di campagna nella memoria cosciente e incosciente di Jacob. Così insieme ai ricordi aleggiavano sensi di colpa, il rapporto con la madre chiuso in un soffocante angolo della sua mente come dimenticato, rimosso eppure ancora così vivo, erano tutte ferite che continuavano inevitabilmente a sanguinare senza possibilità di redenzione.
"Tu vuoi distruggermi?" Jacob allo specchio e ridendo "Non ci riuscirai fottuto specchio", intanto Hope, il cane di Jacob risvegliatosi si grattò dolcemente gli occhi con le zampette, si avvicinò al suo padrone che era nel salone dove c'era il grande specchio che pareva triplicare lo spazio della stanza. Una stanza quasi sempre avvolta dall'oscurità, con una sola finestra non molto grande dalla quale entrava solo nelle ore di mezzo del pomeriggio, quando il sole batteva sul lato sud-ovest della casa, le pareti erano coperte completamente di quadri e di stampe di autori famosi e non, le candele illuminavano la zona dove c'era lo specchio e la sedia dove Jacob seduto rifletteva, meditava o forse era semplicemente in stand-by. Il cane scodinzolando si lasciò accarezzare, leccò festante le mani, poi si fermò di fronte allo specchio e muovendosi lentamente si osservò con molta curiosità, Jacob si alzò di scatto urlando: "Questo non è il mio cane? Dov'è il mio cane? Ridammi il mio cane se non vuoi andare in mille pezzi", il cane iniziò ad innervosirsi, la coda si irrigidì e rimase ferma come una colonna, Hope cominciò a girare intorno alla sedia, sempre più velocemente, per qualche minuto continuò, sembrava un rito demoniaco, finché non si stese a terra con gli occhi sbarrati, immobili, muovendo il torace su e giù con respiri brevi e sovrapposti, emettendo sottili lamenti con cadenza ipnotica.
Jacob aveva assistito alla scena ed era andato in cucina a prendere un coltello, accese la luce e per una attimo si fermò a guardare dalla finestra che si affacciava sul cortile, era una serata magnifica, con la luna che illuminava quasi a giorno, una sensazione di serenità e benessere gli aveva pervaso tutto il corpo. Dopo aver rivolto lo sguardo nuovamente in cucina inaspettatamente aveva trovato in un angolo dietro il tavolo, Hope che stava morsicando gli ultimi bocconi della cena della sera precedente, come faceva spesso la notte, lo accarezzò sulla testa, sul collo sulla pancia e si appoggiò con il corpo a terra giocandoci, finché stanco riprese il coltello lasciato sul tavolo della cucina per dirigersi nel soggiorno al secondo piano. Jacob intanto si chiedeva per quale motivo aveva un coltello in mano. Ricordò subito dopo ciò che era successo in soggiorno, iniziò a fremere dopo aver capito che Hope non poteva essere stato in cucina in quel momento, finché un fortissimo abbaio che proveniva da pochi metri di distanza da lui s'infilò tra i suoi pensieri. Jacob accelerò, sentendo passi brevi e rapidi dietro di lui diffondersi dalla scala, arrivò al piano del salone. Il rumore dei passi si era dissolto nel silenzio spettrale, ora Hope dormiva o almeno così pareva di fronte allo specchio, aveva però ancora un respiro affannoso, Jacob gli si avvicinò impugnando forte il coltello intenzionato ad uccidere Hope che intanto si svegliò e non comprendendo il pericolo e scodinzolando cercò di giocare con il padrone che sorpreso dall'atteggiamento del cane posò il coltello sul tavolino di fronte al camino e giocò un po' con il cane. "Bello allora come stai? Voleva che ti facessi del male? Invece non l'ho fatto, noi due saremo sempre amici, io e te siamo simili, anzi siamo la stessa cosa, tale cane tale padrone e viceversa, e qualcuno voleva dividerci, ma non c'è riuscito; ricordi come ci siamo conosciuti, che strano, era proprio destino, è solo un brutto momento, non bisogna preoccuparsi, e ora perché abbai? Smettila siamo solo io e te! Dai su Hope, non abbaiare".
Con un balzo improvviso Hope azzannò Jacob ad un braccio che con gli occhi pieni d'ira e insensibile al dolore andò a riprendere il coltello sul tavolo mentre il cane, ora calmatosi, si era accucciato davanti allo specchio fissandosi, Jacob lo scorse nello specchio e in un abbaglio lo vide rovesciato a terra in un lago di sangue.
All’esterno un gatto era fermo in mezzo al cortile godendosi la quiete notturna con quella luna sorridente e abbagliante e quel cielo limpido di stelle.
Ma dentro quella casa la violenza era scoccata, Jacob con le mani ghiacciate e tremanti di rabbia infilò, con sguardo soddisfatto ed iracondo, il coltello nella pancia del cane tagliandolo per una ventina di centimetri, e mentre il cane si contorceva lui lo scherniva: "Oggi sei stato un cattivo cane, è giusto che tu sia punito brutto cagnaccio, ti devo insegnare le buone maniere in qualche modo! E non mugugnare che tra poco tutto sarà finito", la sua violenza aveva raggiunto la forza di un uragano, in quell’impeto intravide un immagine di libertà, di sollievo, così si voltò e prese la sedia per distruggere lo specchio, lo scorse per un attimo, vide un uomo, in un flash, steso a terra con un filo di sangue uscirgli dall'orecchio, ma l'immagine terribile non lo fermò, la ragione e la logica da tempo erano stati smarriti, ormai nessuno più poteva fermarlo. Si sbilanciò come un ubriaco e la sedia colpì la base dello specchio che fece solo qualche oscillazione, allora con tutta la sua forza tirò un calcio allo specchio che si frantumò con gran fragore, si gustò quel momento liberatorio come osservasse la pioggia fresca bagnare la sabbia del deserto a mezzodì; cadde una delle candele che aveva acceso appena arrivato in soggiorno, candele che accendeva tutte le volte che cercava un po’ di tranquillità, fissava la fiamma della candela per molto tempo astraendosi dal mondo circostante, spesso odiava l’artificialità della luce elettrica così impersonale e fredda; in un attimo i grossi tappeti presero fuoco, insieme alle pareti tappezzate di quadri, quasi come fossero impregnati di benzina, Jacob sorpreso e completamente bloccato si fermò per alcuni istanti con lo sguardo perso nel vuoto finché le fiamme che ormai lambivano i suoi piedi non lo risvegliarono da quello stato d'incoscienza, così corse nella stanza adiacente dove le fiamme avevano già bruciato gran parte dei mobili, un'anta della finestra era caduta e così senza alcuna esitazione, forse attirato dal temporale e dalla pioggia che stava rinfrescando l'esterno, si lanciò nel vuoto dal terzo piano, qualche istante in volo sbattendo poi violentemente contro le mattonelle del cortile, il volto era piegato verso destra e un grumolo di sangue gli gocciolava dall'orecchio, non sentiva dolore, in quei pochi secondi di vita con gli ultimi sguardi coscienti si volse al terzo piano, non c'erano fiamme e la finestra da cui si era lanciato era spalancata e completamente intatta, sentì di nuovo un tonfo e un cigolare come quello di una porta, proprio come una ventina di minuti prima quando era ancora steso sul letto, forse aveva solo sognato, tutto poteva essere stato fortunatamente solo un incubo...un terribile e drammatico sogno di follia.

24 settembre 2005

Sogno, d'esser etereo

Si sfila dalle mie mani
al peso della vanità in cui mi arieggio
la verità
sospinta dove non la possa sentire
come l'intimo solito incubo che alla notte
punta la sveglia sordo d'ogni lamento

Il mio egoismo narcisista è un corpo
di cui spesso dimentico la maschera
il giullare,
ed in cuor mio divampo
tra un eroico altare immortale
e una fossa infissa d'ossa

Nel mia mente divago
di logica per uscirne fuori
la fede
nulla di ciò che farò avrà senso
senza oltrepassare questo pur
mio caro e caldo sfizio di vivere

Mi vedo attraverso i tuoi occhi
con un sorso di amorevole disprezzo
un millantatore
solo esser giudicata è l'assillo che ti possiede
ma le armonie assolute riempire i miei silenzi
sono rose che spendo a petali serbo a spine

23 settembre 2005

Le ragioni di Bin Laden

Raccontro breve. Prima parte.

"L'entrata in villa"

Parcheggiarono in una carraia a un centinaio di metri dalla villa che era situata in aperta campagna. Era arrivato uno di quei momenti in cui nessuno avrebbe più potuto sbagliare, la posta in palio era troppo alta per commettere un errore; per scongiurare ogni indecisione il piano era stato preparato nei minimi dettagli. Tutti e tre lo conoscevano a memoria e conoscevano altrettanto approfonditamente la struttura esterna ed interna di quella casa nella quale si accingevano ad entrare. Aprirono il bagagliaio e presero tutta l'attrezzatura del caso: pistole, candelotti, bombe mano, bazooka, fucili a pompa, mitragliatrici, katane, lanciamissili, coltelli Miracle Blade e lanciafiamme; si resero conto che tutte quelle armi li avrebbero rallentati pesantemente così optarono per 3 modellini di pistole, uno a testa, erano quelli che allegavano alle riviste specializzate, nel primo numero erano in regalo, Berette 9000 S Type F da 12 colpi per caricatore.
"Proviamo le ricetrasmittenti.. prova.. prova.. mi sentite.. operazione Trisha.. operazione Trisha". Quegli aggeggi sembravano funzionare magnificamente anche se non tennero conto di averli testati a meno di un metro di distanza uno dall'altro. "Allivale a tle chilometli di distanza" aveva detto il cinese che gliele aveva vendute al mercato del Mercoledì mattina.
S'incamminarono lunga la piccola via sterrata che conduceva al cancello principale. Nonostante ci fosse un cielo limpido la luce era quasi assente, la luna si affacciava come una piccola falce, non illuminava, il buio regnava. Presero i visori notturni e ad una decina di metri dall'entrata si divisero i compiti secondo il piano prestabilito.
"Marco tu vai a controllare il retro della casa e aspetta le mie istruzioni, John rimani qui davanti nascosto nel fossato del canale di irrigazione, appena vedi qualche movimento insolito avvisaci".
"Jeff, Jeff, quaglia ore nove, ripeto, quaglia ore nove".
"Che cazzo stai dicendo John?!"
"Stavo solo provando Jeff, comunque siamo d'accordo, è tutto chiaro".
"Ora io scavalcherò in quel punto, dove c'è la rete di recinzione un po' piegata, quando sarò dentro vi comunicherò, andiamo! Tutti al lavoro".
Le loro strade si divisero, Marco piegato sulle gambe, si muoveva con attenzione, con gli occhi perlustrava ogni angolo, con le orecchie cercava di distinguere ogni minimo rumore, da qualunque parte provenisse. L'erba era bagnata, la mattina era piovuto copiosamente e sebbene il pomeriggio ci fosse stato un sole piuttosto caldo, il terreno era ancora molto umido. Percorse tutto il lato ovest della villetta arrivando finalmente all'angolo dove si appostò. "Io sono in posizione".
A me capitano sempre le mansioni meno piacevoli, pensò John. Si piegò sulle gambe e scese nel canale di irrigazione; c'era poca acqua ma abbastanza per infangarsi ben bene. Era perfettamente nascosto in quel modo e riusciva a vedere ampiamente tutta la facciata frontale della casa colonica e la stradina per giungere in quell'angolo di mondo. "Anche io sono in posizione".
Jeff era proprio nel punto dove aveva deciso di scavalcare, si guardò attorno. Chi mai verrebbe in questo posto in aperta campagna? Solo qualche coppietta ma dubito che qualcuno decida di giungere fino qua visto gli innumerevoli spiazzi che si incontrano prima. Inserì il primo piede in una maglia della rete, sarebbe stato piuttosto facile arrampicarsi, solo la siepe oltre la rete avrebbe potuto creare qualche complicazione nella discesa. Appoggiandosi e tenendosi con le mani mise il secondo piede quando ad un certo punto iniziò a vibrare qualcosa dentro la sua giacca. Tornò a terra con entrambe le gambe, si tastò, Il Cellulare! Me lo sono dimenticato addosso!. Rispose. "Questo è il servizio 4888 di Tim accetta di farsi addebitare la chiamata". "Sì, sì".
"Jeff, dove sei? Con una giovane e affascinante bionda a farti fare chissà che? avevi promesso di portarmi a cena ma sono tre giorni che non ti fai sentire, ho l'impressione che non te ne importi nulla di me. Li trovo tutti io gli stronzi da una scopata e via!".
"Cosa stai dicendo? Hai bevuto qualcosa? Te l'ho detto che ho un importante missione da svolgere e se tu fossi un po' meno egoista riusciresti a comprendere. In questo momento sto cercando di portare a termine il compito che mi è stato assegnato quindi perdonami ma non posso stare al telefono. Non urlare Naomi!".
"Non ti credo, non ti credo!".
"Cosa devo fare per fartelo capire?".
"Jeff..Jeff ho voglia di fare l'amore per telefono, questa discussione mi sta eccitando, cos'hai addosso".
"Dio aiutami tu! Naomi, Naomi,non è il momento".
"Su avanti levati la maglia..concedimi il tuo corpo".
"Naomi, basta, devo andare, non posso perdere più tempo, ora io chiudo, ti richiamo quando tutto sarà finito".
"Allora divertiti, non so se quando sarà tutto finito mi troverai". E chiuse il telefono in faccia a Jeff che rimase per un attimo basito ed adirato, Possibile che non capisca! Riprese la sua operazione, stesso procedimento, risalì un po' più su di prima. Ancora il cellulare, non l'ho spento?! Era un messaggio: “Tim le ricorda che il suo credito sta per esaurirsi, se entro 48 ore farà una ricarica di almeno 25 euro riceverà un bonus di 48 messaggi gratis”. Ma porca puttana! Spense il cellulare.
Riuscì ad arrivare in cima alla rete senza più interruzioni, ora doveva scendere dall'altra parte, fortunatamente c'era abbastanza spazio tra lui e la siepe. Saltò giù rischiando di farsi usurpare il volto da un ramo. "Sono entrato, adesso cercherò di raggiungere il garage sul lato est della casa".
"Perché diavolo ci hai messo così tanto!", abbaiò Marco.
"Scusate, ma ho avuto un piccolo contrattempo che non ha niente a che fare con questa missione, quindi non preoccupatevi, è tutto a posto; ora procediamo con la fase due del piano".

21 settembre 2005

Il mio fantasma

Mi hanno suggerito di postare ogni tanto anche qualche poesia ed eccone dunque una; il momento ideale per i fantasmi? Quando se non la notte. Volevo ricordare che i commenti sono ben accetti.

Il mio fantasma si lanciò giù dalla volta plumbea
il mausoleo Sisto IV della Rovere.
Colsi un papiro scovato dal giudizio universale
in un muro esistenziale strapazzato: il mio destino.

Spirava l'alito di un satanico sentimento
un ritorno di fiamma alla follia originaria.
Qualcuno dipinse un paradiso terrestre
“L'uomo ridendo sguaiatamente lo rinnegò”

Garibaldino mi volsi al Tempio delle mele
dileggiando la sua divina intelligenza
“Qual perversa coscienza ultra terrena
avrebbe generato un uomo di siffatta maniera?”

Il mio fantasma mi tallonava
lungo i corridoi di una maestosa Cheope,
svenivo, l'ossigeno svaniva,
negli occhi un agave victoriae reginae

Ormai nudo la mia vergogna
non condivideva nulla con il mio corpo,
l'alluce aveva varcato la soglia
della forma per la sostanza della plaga santa

Il mio fantasma mi colse confessato
non avrei dovuto più improvvisare
un improbabile pentimento
socialmente redistribuito ai giorni avvenire

E consumato il farsesco smacco
scolpii gli ultimi versi con gelido distacco:
“Qual perversa coscienza ultra terrena
avrebbe generato un uomo di siffatta maniera?”

20 settembre 2005

Le cifre: il crocevia ceceno tra i drammi e gli interessi

In attesa di scriverne uno nuovo ho ripreso questo mio articolo pubblicato su warnews.it che propone un quadro abbastanza preciso di quello che è il buco nero ceceno.

Sono stati resi noti in un articolo pubblicato sul sito Ajans Kafkas alcuni dati riguardanti i danni alle strutture, il numero delle unità di polizia e dell'esercito russo presenti sul territorio ceceno, dei combattenti indipendentisti, dei morti e dei feriti coinvolti nel conflitto russo-ceceno. I danni totali alle infrastrutture dovute agli eventi bellici sono stati stimati approssimativamente intorno a 140 miliardi di dollari, equivalente a un quarto del budget annuale della Federazione Russa.

Sia da parte di Mosca che di Grozny aumentano esponenzialmente le pubblicazioni di statistiche riguardanti la situazione cecena proprio al sesto anniversario dall'inizio della seconda guerra cecena ed all'undicesimo dalla prima.

Spesso le diverse fonti riferiscono dati molto discordanti tra loro, quello che però risulta chiaro è che le conseguenze tragiche delle due guerre sono tutt'altro che sopite sia dal punto di vista della pacificazione sociale e della normalizzazione sia dal punto di vista delle necessità primarie della popolazione cecena; senza dimenticare inoltre che la Cecenia non è che una piccola porzione del Nord Caucaso e che l'incertezza e l'insicurezza sembra si stia diffondendo in tutta la regione circostante.

Le forze filo-russe e i combattenti indipendentisti

Le forze militari russe sono 80,000 affiancate ad altre 30,000 unità cecene, la cui fedeltà alla Federazione secondo Mosca non è così certa.
L'intero apparato di sicurezza dovrebbe opporsi a 1,000-1,500 militanti attivi permanentemente, tra cui 100-150 provenienti dall'estero. Secondo altre fonti i combattenti indipendentisti sarebbero intorno ai 3,500 e sarebbero in grado di mobilitare altre persone da coinvolgere nella lotta anche solo per poco tempo o “part-time”. Il mufti Sultan Mirzayev nell'appello rilasciato qualche settimana fa in cui chiamava i musulmani alla Jihad contro il Wahabismo, ha parlato di addirittura 20,000 seguaci della linea radicale, tra i quali crescono gli aderenti di fede islamica.
Il movimento indipendentista può far leva su coloro che pur senza alcun margine di miglioramento delle condizioni di vita disastrose in cui versano rimangono in Cecenia, molti giovani sono cresciuti senza imparare il russo e farebbero molta fatica ad integrarsi in un paese della Federazione, inoltre l'80% dei Ceceni in età lavorativa sono disoccupati. Così sono numerosi quelli che potenzialmente potrebbero diventare militanti della lotta armata contro le forze russe.

Le vittime delle due guerre

Durante i dieci anni di conflitto delle due guerre più di 9,000 soldati sono morti secondo il governo russo, alcuni osservatori affermano che in realtà sono almeno il doppio.
Il numero totale dei caduti, compresi i civili, è ancora molto discusso e materia di disputa. Si aggirerebbe secondo il Cremlino sui 160,000 mentre c'è chi parla di 300,000. Per fare ulteriore chiarezza andrebbero distinte anche le vittime tra soldati russi, civili russi, combattenti ceceni e civili ceceni. Tra i feriti e i defunti si calcola comunque che 100,000 sarebbero di etnia russa.

La distruzione degli edifici e il piano di ricostruzione

Sono più di 100,000 le abitazioni distrutte in tutta la repubblica a seguito dei combattimenti, circa metà della popolazione è rimasta perciò senza un tetto o ha dovuto comunque spostarsi perché la casa è stata resa inagibile o pericolante, inoltre poche attività economiche sono rimaste in piedi. Nonostante sia stato istituito ed organizzato il Piano di aiuti russo per la ricostruzione, al governo di Mosca viene recriminato di aver fatto in verità troppo poco.
Negli ultimi quattro anni secondo questo piano sono stati raccolti 2 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali non è stata spesa per gli intenti prefissati. Un commentatore russo, per sottolineare quanto questa cifra sia insufficiente, ha riferito che il governo russo ha speso 40 miliardi di dollari per la celebrazione del trecentesimo anniversario della città di San Pietroburgo.
La popolazione cecena continua per questo motivo a lamentarsi e manifestare la sua contrarietà a questa politica inefficace e di sperperi, la fiducia per le istituzioni è minima, i soldi che arrivano a destinazione riguarderebbero solo le pensioni e i salari di coloro che lavorano per le istituzioni locali filo-russe.

La gestione e i profitti del petrolio

Per quanto riguarda il controllo delle risorse petrolifere, la Russia si sarebbe preoccupata e adoperata fino adesso per il rinnovamento delle condutture attraverso le quali si perdevano prima ingenti quantità di petrolio. Il prelievo russo secondo il Cremlino è rimasto lo stesso di una decina di anni fa, cioè 3 milioni di tonnellate all'anno.
Dunque il controllo sarebbe ceceno; in realtà la popolazione non usufruisce dei profitti, chi se li spartisce sono gli esponenti delle istituzioni della Repubblica Cecena, quali Ramazan Kadyrov, esercitando così non solo il potere politico e militare che deriva dalla sua carica ma anche quello economico, controllando attraverso le stazioni di rifornimento sul suolo ceceno gran parte delle risorse del paese, che come è ovvio derivano dal petrolio, fonte che ha trasformato Grozny, a partire dal primo pozzo scavato nel 1893, da fortino dell'esercito russo a città industriale e commerciale che ha attirato sulla Cecenia capitali russi, francesi, inglesi, belgi. Tutte le attività si sono inevitabilmente legate al petrolio.
Anche per Mosca questo è un problema in prospettiva perché la concentrazione crescente di potere di Kadyrov, se pur filo-russo, non garantisce per il futuro una sicura fedeltà al governo centrale della Federazione Russa.

Nico Guzzi

19 settembre 2005

Signorina! Signorina! Intestazione autonoma

Vengo io con questa mia addirvi una parola, che, io stesso Nico Guzzi, che sono io medesimo di persona, scusate se sono pochi; ma più d'una ventina d'anni non mi fa specie che solo quest'anno apro il blog, che non è mai tardi, che è importante che io scrivo e che comunque sappiamo tutti che devo tenere la testa sempre al solito posto, cioè sul collo.;.; massì, abbondiamo... abbondantis in abbondandum; che diciate che sono provinciale io. Questo blog servono che voi vi consolate dai piacere che avreta perché, aggettivo qualificativo, leggete e riflettete (Tributo a Totò, http://www.antoniodecurtis.com/lettera.htm).
Il primo articolo sul terrorismo che ho postato l'ho scritto qualche tempo fa. In questo mio spazio ho deciso di affrontare tutto quello che mi passa per la testa, per l'anima e per il cuore, un flusso di coscienza; sarà una fonte di ispirazione e riflessione; dunque questo mio divagare sarà utile a me e alle mie elucubrazioni mentali e spero eventualmente che sia interessante per un potenziale lettore. La mia tastiera nera con tutti i suoi tasti mi accompagnerà nei viaggi della realtà e dell'irrealtà, senza magari trovare nulla che si avvicini alla “migliore verità” ma come diceva qualche antico saggio “Non è tanto importante trovare la verità quanto cercarla”.

Salutandovi indistintamente Nico Guzzi (che sono io)

18 settembre 2005

La sicurezza e la guerra al terrorismo

Discorrendo tra le notizie e le informazioni di giornali, televisioni e siti internet ormai appare un'impresa ardua ed improba tenere a conto le volte in cui la parola terrorismo si presenta al lettore o all'ascoltatore.
Per questo motivo è interessante e utile compiere alcune considerazioni sulla “Guerra al terrorismo”, tema diventato prioritario nell'agenda politica degli stati occidentali e non solo a partire dall'attentato alle Torri Gemelli del'11 Settembre 2001.

L'attentato agli Stati Uniti, quello del'11 Marzo 2004 in Spagna, quello di Londra dello scorso 7 Luglio e ancora quello di Sharm En Sheik del 23 Luglio rappresentano per gli analisti politici e chi affronta le relazioni internazionali un continuum di violenza tragico e un fenomeno globale che pone inevitabilmente diverse questioni.

La guerra

Si è sempre parlato di guerra al terrorismo eppure lo stesso concetto di guerra andrebbe ridiscusso e valutato attentamente. È facilmente comprensibile che in connessione con il fenomeno del terrorismo internazionale essa non possa essere definita come il classico conflitto armato tra due eserciti per il raggiungimento di un obbiettivo politico, economico o strategico che sia.
“Non faremo distinzioni tra i terroristi che hanno commesso questi atti e coloro che li coprono” Bush aveva detto nel discorso alla nazione fatto a distanza di 12 ore dall'attentato alle Torri Gemelli. Queste parole risultano significative e danno un quadro abbastanza calzante della politica statunitense successiva e che si protrae fino ad oggi.
Dapprima infatti vi è stato l'attacco all'Afghanistan nel quale i talebani, Bin Ladin ed Al Qae'da avevano potuto sviluppare e coordinare il loro potere economico e politico, estendendolo in maniera più o meno visibile e chiara verso gruppi, leader politici e religiosi delle nazioni islamiche medio-orientali.
Successivamente è stata dichiarata guerra all'Iraq di Saddam Hussein. Gli interrogativi in questo caso sono molteplici; inizialmente si è parlato di armi di distruzioni di massa, causa che di per sé, secondo un approccio realista, non può eguagliare neanche lontanamente i costi di un conflitto armato per il quale gli investimenti economici e le perdite umane sono certe e rilevanti; è stato poi rivelato che le informazioni sulla presenza di queste armi erano false, dunque sono state sfruttate demagogicamente per far leva sulle angoscie del popolo americano e convincere l'opinione pubblica che quel conflitto sarebbe stato necessario ed inevitabile ai fini della sicurezza. E' così che il dilemma della sicurezza, in una originale e quanto mai profana versione, riacquista quel ruolo tutt'altro che superato di fattore fondamentale ed intrinseco nell'agire di ogni stato e delle sue istituzioni; è tornato prepotentemente alla ribalta per le democrazie occidentali che dopo la caduta dell'Unione Sovietica mai avrebbero potuto pensare che il nemico sarebbe riuscito a colpirli proprio nei loro centri principali, nel loro cuore (New York e Londra). Se è vero che Bin Ladin e i talebani afghani erano strettamente legati non è stato dimostrato quale fosse il legame tra Saddam e il terrorismo; questo aspetto non si può sottovalutare e conseguentemente è ovvio porsi una domanda: quali sono i reali motivi dell'attacco all'Iraq?
In termini riduzionisti affrontare la guerra in Iraq non porta molto lontano nelle riflessioni; la questione medio-orientale non si può non trattarla se non in linea con un approccio che tenga conto di tutto il sistema, un'azione contro uno stato di questa zona influisce politicamente e strategicamente su tutti quelli vicini ed economicamente sul resto del mondo a causa delle ingenti risorse petrolifere da cui tutti dipendiamo. Ogni semplificazione eccessiva, ogni riduzione del problema ad una sola causa predominante può essere dannosa e cela molto spesso modalità di riflessioni ideologiche e superficiali.
Cercando di analizzare comunque a fondo è realistico ipotizzare che gli americani vogliano che nasca in Medio-Oriente una nuova democrazia che possa essere in futuro un avamposto contro Al Qae'da, contro quella “Spada dell'Islam” che vorrebbe estendere il suo dominio proprio su quella terra; si è cercato di evitare in anticipo che alla plausibile caduta del regime di Saddam se ne fosse instaurato uno nuovo di tipo islamico come ulteriore base per il terrorismo. Dalle armi di distruzioni di massa si è passati in questo modo al concetto di “guerra preventiva”, di “esportazione della democrazia”, dei suoi principi di tolleranza e di risoluzione pacifica dei conflitti interni ed esterni dello stato.
Nessuno oggi può credere che l'obbiettivo di Bush e dei leader che concordano con lui sia rovesciare tutte le dittature del mondo per esportare democrazia, i costi sarebbero enormi, improponibili, i vantaggi difficilmente quantificabili, inoltre ci si scontra con l'idea che ogni stato dovrebbe essere esso stesso artefice del proprio destino secondo il principio internazionale della non-ingerenza di altri stati nelle vicende politiche interne di uno stato. La guerra in Iraq è giustificabile solo sottolineando il problema centrale, cioè che trattando la situazione medio-orientale, le sue risorse energetiche e il terrorismo ogni vicenda interna ai singoli stati di questa zona diventa una questione internazionale che la omonima comunità non può non considerare. Nessuno si sognerebbe di attaccare la Cina comunista, anche se effettivamente molti riferiscono che alcuni diritti, quali quello della libertà di informazione e di espressione non vengono rispettati; la moralità delle relazioni estere degli stati è spesso molto flessibile e schizofrenica, si adatta a condizioni, interessi e vantaggi contingenti e non persegue perciò solo alti ideali quali la tutela dei diritti fondamentali degli uomini, della loro libertà, del principio di autodeterminazione dei popoli, del diritto a un giusto processo, non ci sarebbe altrimenti bisogno di tante organizzazioni non governative ed umanitarie.
La guerra al terrorismo non può essere ridotta a guerra contro qualche stato, sarebbe un grave errore e ne è prova il fatto che in tutto il Medio-Oriente la situazione non è migliorata, gli attentati non diminuiscono e l'obbiettivo della sicurezza interna delle democrazie occidentali è tutt'altro che raggiunto. Il dubbio che si sia fino ad oggi sbagliata strategia è sempre più diffuso, si profilava e professava a partire dal 2001 uno scontro apocalittico di civiltà mentre oggi al contrario, da più parti si ripete che si deve perseguire una politica del doppio binario, lotta ferma la terrorismo e dialogo costante con l'Islam moderato.

Il terrorismo

A questo punto è doveroso compiere delle osservazioni concernenti la sua definizione.
Molti stati nella loro storia nazionale hanno avuto e hanno ancora necessità di contrastare il terrorismo che nasce, si sviluppa e colpisce all'interno degli stessi confini; questa esperienza accumulata dovrebbe poter essere utile per tutti gli stati, in realtà appare del tutto insufficiente perché il terrorismo che si è costretti a fronteggiare è una rete vasta e sfumata della quale è molto complesso comprendere ed identificare le direzioni e le ramificazioni, i legami tra le sue componenti. E' anch'esso sul carro della globalizzazione e gli stati di fronte a questo fenomeno si trovano spesso in grande difficoltà, non si riesce a controllare tutti i flussi informativi che si muovono in maniera quotidiana e costante grazie agli strumenti di comunicazione, tra quali Internet è diventato uno dei principali.
Dietro gli attentati terroristici quotidiani è evidente che non vi sia il semplice obbiettivo di spaventare e di angosciare i popoli delle nazioni occidentali e dei paesi islamici moderati, il progetto religioso secondo Bin Ladin è quello di purificazione e rinascita dell'Islam, un ritorno all'antica supremazia dove esso è nato con la legge sacra dei Califfati, la realizzazione di quella comunità islamica unica, Ummah, progetto che già in passato era sfumato. Ad esso si affianca un programma politico le cui finalità essenziali sono il ritiro degli americani e degli europei dal Medio-Oriente, il conseguente completo controllo delle risorse, la distruzione di Israele e il rovesciamento di tutti i regimi dipendenti dalle vecchie potenze coloniali in Africa, Asia e Medio-Oriente. Questo è nei punti fondamentali il programma di Al Qa'eda. La coalizione islamica mondiale concordante apertamente o no con queste idee può essere considerata come una sorta di network fondata sulla comunicazione tra le tante moschee che si trovano in Europa, Asia, Africa e America. Per questo all'interno è probabile che si nascondano ed agiscano potenziali terroristi, anche all'insaputa della maggioranza dei fedeli che frequentano le stesse moschee. Esse come afferma Clifford Geertz oltre che luoghi di preghiera possono fungere da centri di riflessione ed iniziativa.
La forma organizzativa è piuttosto controversa. Si è individuato nel nucleo centrale Al Qae'da (base, fondamento e origine per la rinascita dell'Islam) che ha agito in tutto il Medio-Oriente cercando di estendere la sua influenza, la sua visione, arruolando seguaci disposti a seguire i suoi precetti fino ad accettare il martirio, il suicidio come forma di combattimento. Essa si appoggerebbe a Bin Ladin come stratega politico, il leader del progetto contro la decadenza dell'Islam e gli infedeli, e al suo impero commerciale e finanziario che comprende il Saudi Bin Ladin Group(SBG) e i traffici illegali di droga, di cui il vero capo è considerato il fratello Salem. Vi sono all'interno diverse correnti ma ciò che è importante sottolineare è che risultano tutte unite nella lotta all'Occidente. La struttura è dunque capillare, ma ancora oggi non si comprende con precisione se vi siano frequenti contatti tra le diverse cellule ed Al Qae'da o se agiscano in gran parte autonomamente, in piccoli gruppi che riescono a pianificare gli attentati. E'credibile supporre che Al Qae'da dia le indicazioni riguardo al luogo e alla data dell'attentato e che lasci poi alle singole aggregazioni di terroristi la programmazione dell'azione, la fabbricazione dell'esplosivo e il reclutamento di kamikaze. Così si scopre tragicamente che i terroristi kamikaze sono spesso proprio figli della nazione in cui colpiscono, dove hanno vissuto, studiato e lavorato. L'insicurezza si fonda proprio su questo dato di fatto. Il tema è da esaminare globalmente, non è un problema di frontiere, mai come in questo caso è necessario un coordinamento delle forze di polizia, di sicurezza, dei servizi segreti. Va combattuta la lettura del Corano che da testo di preghiera diventa dichiarazione di guerra; questo significa agire sul doppio binario e lo si fa solo con il frequente dialogo con l'Islam che ripudia questi atti. L'intensità e la profondità di questo indottrinamento non può portare a liquidare il terrorismo una volta scovati i terroristi attivi, perché innanzitutto come dimostrato il risultato è difficilmente raggiungibile visto la vastità del fenomeno e l'impossibilità del controllo totale di tutti gli stati del mondo, in secondo luogo ci saranno potenziali terroristi nella misura in cui sedicenti guide spirituali riusciranno ad anestetizzare le menti di candidati kamikaze che credono che il loro martirio possa servire alla causa dell'Islam, del loro Islam aggiungerei, e a ciò possono credere se non si fanno passi in avanti nella normalizzazione dell'Iraq in cui avvengono quotidianamente stragi come quelle avvenute a Londra e Sharm En Sheik ma che raramente fanno lo stesso clamore, un altro fondamentale segnale giungerebbe se il conflitto israelo-palestinese si risolvesse e se perciò si riuscisse a procedere con decisione verso soluzioni politiche accurate. E' comunque difficile prevedere il terrorismo internazionale come un peso che l'umanità dovrà portarsi per lungo tempo addosso vedendone quotidianamente i suoi effetti, questa idea nasce dal fatto che risulta improbabile reggere ideologie di tale portata in così tanti paesi senza un'istituzione stabile come può essere quella di uno stato.

Non si può perdere l'occasione di parlare dei contenuti, cedere solo all'emotività delle stragi di innocenti senza discussioni che chiariscano almeno in parte non fa che offrire al terrorismo nuovi adepti, non si può cadere nell'errore di voler perseguire una politica di circoscrizione ed isolamento dell'Islam.

Nico Guzzi