15 aprile 2008

Quale benessere per il nostro futuro?

Perché se un uomo non ha mai guardato negli occhi la sofferenza, senza se, senza ma, senza giudicare, non è mai stato un uomo, di fronte al concepire l'esistenza come se fosse fondata su chissà quali pilastri preferisco chi ha assunto la fragilità come punto di partenza e mai come punto di arrivo. Non cambia mai chi non sa che un uomo cambia continuamente a seconda delle scelte che compie.

La stabilità emotiva ed esistenziale non ha nulla a che vedere con la materia, con un lavoro a tempo indeterminato e ben pagato, con l'assuefazione al nuovo.
Si sbaglia colui che crede che la felicità derivi dalle gabbie quali la cultura come qualcosa che si conosce perché studiato su un libro (e se si perde la memoria si diventa coglioni?), un tetto molto bello sotto il quale dormire, un'auto spaziosa sulla quale scopare.

I nostri padri, venuti dopo la seconda guerra mondiale, hanno preso un abbaglio prevedibile, hanno lavorato di giorno e di notte, hanno pianto lontano da casa, sono andati altrove a cercare lavoro, si sono rotti le ossa per costruire quel bel tetto per i figli, per alimentare le passioni e i sogni dei pargoletti, per pagargli un giorno la scuola, per indicargli un buon lavoro, quello era il loro obbiettivo e molti di loro l'hanno raggiunto, questo li ha resi e li rende felici.
Se hanno fatto tutto i genitori ai figli che compito rimane? Per alcuni trovare il lavoro e la casa, la storia sembra ripetersi, per altri è tutto pronto; ma qualcosa è cambiato, i genitori non possono permettere che i propri figli ricomincino da zero, dai sacrifici, per loro sarebbe una sconfitta, il benessere è arrivato ai figli che però se volessero riproporlo ai propri non riuscirebbero nell'impresa in molti casi, la soluzione è che i nipoti non vedano mai la Playstation e Pes 10 per giocare invece con quel vecchio Tango in giardino.

Questo discorso non è fuorviante, non a caso infatti qualcuno dice che non possiamo permettere che la Cina e l'India raggiungano il nostro benessere così velocemente; perché in effetti nemmeno da noi quel benessere sarà più sostenibile. La crescita della ricchezza deve essere razionale e redistribuita, e per ricchezza non intendo solo il Pil ma la cultura, l'informazione, la libertà di espressione.

Invece oggi la società italiana è ingessata, si confonde il riconoscimento con la felicità e la sua ricerca che di per sé non è nulla di malvagio se non per il fatto che il riconoscimento non deriva tanto dalle qualità espresse quanto da una serie di elementi, quali materia conquistata e successo mediatico, cioè ricchezza materiale e notorietà, il potere terreno. Uno può essere ricco per una botta di fortuna, perché figlio di ricchi e divenire addirittura noto per questo, il teatro dell'assurdo.

1 commento:

Cesare Rensenbrink ha detto...

"La crescita della ricchezza deve essere razionale e redistribuita, e per ricchezza non intendo solo il Pil ma la cultura, l'informazione, la libertà di espressione."

mi trovo molto d'accordo con questa tua frase.