11 ottobre 2005

Vivere i giudizi come sentenze

Non sentire più nulla del mondo sensibile, un amore con la certezza di non soffrire, un solo epilogo, il paradiso come assenza di dolore; la fatica di addormentarsi e poi al mattino la voglia di non rialzarsi, per quale motivo svegliarsi? La notte piovosa, le luci pallide dei lampioni che si riflettono sulle lastre d'acqua dei viottoli oscuri e sperduti di città, qualche drogato, uno scrittore, un poeta piuttosto ridicolo e trasandato; lo squallido ritardo con cui si presentano di fronte alle porte della felicità. Saltare su se stessi, pestare il proprio corpo, l'autodistruzione, non essere mai perfetti e comprendere che la perfezione che rincorriamo non è altro che la peggiore perversione, il meccanicismo delle mode televisive, la cultura della popolare superficialità, la posizione è quella solita del missionario, la missione è quella solita, godere e far godere, un modello politicamente corretto, occidentale, traslato nella sfera sessuale, una volgarizzata prestazione e le persone ci credono, inconsciamente forse anche io; cercare di essere L'UNO e chiedersi dopo un attimo di smarrimento “Sono qualcuno io?”; svendere la propria esistenza al miglior offerente e non al miglior cliente; si può vivere non desiderando nulla? Il mangiafuoco dell'anima esiste? No, forse no, anche chi non desidera nulla vuole solo auto-convincersi, vorrebbe non avere nessun desiderio per non dipendere da nessuna cosa, da nessuna persona, ma questo è quasi impossibile. A proposito di queste considerazioni ci sono interessanti studi di sociologia (nei quali mi sono potuto addentrare con fanciullesca curiosità durante il mio iter universitario) e psicologia; dipendenze quali alcol, droga ma anche malattie alimentari come bulimia o anoressia rappresentano proprio il tentativo di ribellione agli inevitabili rapporti di interdipendenza che si creano tra le persone, il tentativo di poter controllare, di poter non dipendere dalla bottiglia, “smetterò” ripete l'ignoto strafatto ma senza riuscirci, di poter controllare gli altri, il loro giudizio (che troppo spesso si è portati a considerare una sentenza), attraverso il completo dominio dei propri bisogni alimentari, del proprio appetito. Quale astratta e fantasiosa creatura sarebbe altrimenti la solitudine? Un uomo percepisce la propria solitudine quando sente il bisogno di un'altra persona, quando la vuole avere vicino in quel momento, anche in silenzio, questo fenomeno è tutt'altro che frutto di un'accentuata sensibilità, chiunque in qualsiasi momento della sua vita può sorprendersi solo mentre sta guardando la tv, mentre sta andando a lavorare, mentre si sta addormentando sul suo letto dopo essere uscito con i propri amici; il problema è sempre quello di comprendere che non è un dramma, superare i momenti di solitudine vuol dire diventare più forti per poi darsi al mondo per come si è, senza più l'affannante ansia di essere condannati che comunque rimane nell'uomo, in forma latente magari ma non c'è nulla da fare, perché è sempre legata al dato di fatto dell'interdipendenza tra gli individui nella società, piccola o grande che sia.

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