09 gennaio 2007

Idea e azione

Robert D. Kaplan a proposito del terrorismo e dell'esportazione della democrazia afferma che alla moralità dei significati si sarebbe dovuta sostituire la moralità dei risultati, cosicché probabilmente non sarebbe stata condotta una guerra in Iraq in nome di chissà quali ideali che hanno prodotto una situazione tutt'altro che ideale. Una guerra forse si sarebbe comunque intrapresa (realismo politico) per i più vari motivi ma la popolazione americana prima di tutto non l'avrebbe accettata facilmente e senza l'appoggio popolare un'azione politica così rilevante quale quella del muovere guerra diventa più tortuosa ma anche più oculata e razionale. Ma alla guida di Usa e GB a quanto pare ci stanno registi che amano lo stile hollywoodiano.
L'esegetica differenza tra significato e risultato può essere data dall'esperienza del comunismo, prima teorizzato e poi esplicato in realtà storica portando alla luce la frattura tra pensiero e pratica, in questo caso degenerativa.
L'unico momento di libertà sta all'inizio di una rivoluzione. Quando il governo precedente non ha più poteri e quello successivo deve ancora prendere il controllo. Dovrebbe essere interessante approfondire l'argomento. Ad esempio la sensazione surreale di straniamento, di paura primordiale, della popolazione del Nord Italia appena liberata dai tedeschi, quando ancora nessun'altra autorità si era sostituita al fascismo e al nazismo. La gioia della liberazione era mischiata ad un senso di precarietà dovuta al fatto che nessun potere poteva essere speso contro qualcuno in nome di qualcosa: un'anarchia potenziale e di fatto i regolamenti di conti, gli assassini e le tragedie verificatesi hanno dimostrato questo vuoto.
Dunque l'unica cosa che si può dedurre è che non esiste lo stato perfetto e quanto più lo si vuole raggiungere tanto più esso si allontana, si può solo puntare alla forma di stato migliore per l'individuo e non per ogni individuo.

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