15 settembre 2008

Autunno pazzo

Voi andate, io rimango qui, anzi ricomincio dall'inizio, riparto da zero perché nel viaggio che mi ha condotto fino qui ho perso tutto ciò che amavo, che avrei voluto conservare, cullare e crescere tra le mie braccia, sulle mie spalle. Devo aver commesso qualche errore, ma di certo non proseguo su una strada che alla fine non ha altro che un cartello con scritto Strada chiusa, questa era la mia storia, la consecutio temporum è per le menti spente.
Le api e gli usignoli sono stati messi a dura prova in questi ultimi anni terrestri (che siano gli ultimi?): non guardare, non aprire la mente, né il cuore, non armonizzarti.
Io ho provato ad imitare il canto di un usignolo ma mi sono ritrovato a dover fuggire da uno sciame di api avvelenate dall'inquinamento umano di cui io ero diventato il simbolo, poco importa se pungendomi sarebbero morte, quello che volevano e vogliono è solo vendetta, e l'avranno.
Ed io che abito all'angolo di via Paolo Borsellino e Madrid, a pochi passi dalla Quinta del Sordo, espongo il mio sorriso, quello che si esplica attraverso il malinconico e “democritano” (di Democrito) “eh eh”, sebbene abbia sempre apprezzato quello carnevalesco, hollywoodiano, quell'”oh oh oh” cadenzato e recitato con la mano sul petto.
I lumini dei cimiteri sono sempre così fiacchi e stanchi; non ricordo nemmeno qual'è la prima donna con cui ho fatto l'amore, ho scordato la prima furia della tempesta, ogni mattina mi sveglio e vomito il passato, qualcosa di simile al morbo di Parkinson.
Da piccolo soffrivo di ADHD, per questo ficcai nel petto del mio psicologo una penna stilografica, non posso dimenticare l'eccitazione di quell'atto che mi liberava dalle catene della malattia, la sua faccia da marchese esterrefatta, distruggendo colui che mi definiva malato io ero guarito, o qualcosa di simile, considerando che sto scrivendo da una sorta di arresti domiciliari a vita, un manicomio travestito da normalità, un teatro della storia, un concerto in playback: ciò che esce dagli amplificatori è quasi sempre il liquame nauseabondo che ci entra.
Caro marchese De Sade baciami il culo! Bacia! Bacia ora! Cari gerarchi fascisti abbiate la cortesia di baciarmi il culo, mi bacino il culo anche quelli sovietici, caro Putin e caro Bush eccovi il mio culo, solo un bacino prima di andare a dormire! La mia guerra non si è conclusa con il battesimo, a quanto pare nemmeno per la Chiesa è poi così importante la pace.
Ne ho viste di cose io dall'alto delle mie conoscenze empatiche ed intellettuali interconnesse, ne ho viste così tante che non ho più intenzione di seguire il flusso indiscriminato e costante della quotidianità ceca. Il meccanismo del tempo che assimiliamo giorno dopo giorno, sveglia dopo sveglia, campanella dopo campanella, timbro dopo timbro, programma dopo programma è quanto di più innaturale e deleterio per quel tocco divino che può accendere la migliore natura umana e tutto ciò che gli sta intorno. E Falcone saltò in aria con lo sguardo asceso a un cielo libero, spianato.
I serpenti esistono e camminano nell'universo, io so già da che parte stare.
Grazie Edith Piaf, senza di te non sarei esistito.
Le foglie cadono, le mie lacrime anche, è proprio autunno, autunno pazzo.

“Furia ed Agonia – Francisco Goya” di Rafael Castillo

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