18 settembre 2005

La sicurezza e la guerra al terrorismo

Discorrendo tra le notizie e le informazioni di giornali, televisioni e siti internet ormai appare un'impresa ardua ed improba tenere a conto le volte in cui la parola terrorismo si presenta al lettore o all'ascoltatore.
Per questo motivo è interessante e utile compiere alcune considerazioni sulla “Guerra al terrorismo”, tema diventato prioritario nell'agenda politica degli stati occidentali e non solo a partire dall'attentato alle Torri Gemelli del'11 Settembre 2001.

L'attentato agli Stati Uniti, quello del'11 Marzo 2004 in Spagna, quello di Londra dello scorso 7 Luglio e ancora quello di Sharm En Sheik del 23 Luglio rappresentano per gli analisti politici e chi affronta le relazioni internazionali un continuum di violenza tragico e un fenomeno globale che pone inevitabilmente diverse questioni.

La guerra

Si è sempre parlato di guerra al terrorismo eppure lo stesso concetto di guerra andrebbe ridiscusso e valutato attentamente. È facilmente comprensibile che in connessione con il fenomeno del terrorismo internazionale essa non possa essere definita come il classico conflitto armato tra due eserciti per il raggiungimento di un obbiettivo politico, economico o strategico che sia.
“Non faremo distinzioni tra i terroristi che hanno commesso questi atti e coloro che li coprono” Bush aveva detto nel discorso alla nazione fatto a distanza di 12 ore dall'attentato alle Torri Gemelli. Queste parole risultano significative e danno un quadro abbastanza calzante della politica statunitense successiva e che si protrae fino ad oggi.
Dapprima infatti vi è stato l'attacco all'Afghanistan nel quale i talebani, Bin Ladin ed Al Qae'da avevano potuto sviluppare e coordinare il loro potere economico e politico, estendendolo in maniera più o meno visibile e chiara verso gruppi, leader politici e religiosi delle nazioni islamiche medio-orientali.
Successivamente è stata dichiarata guerra all'Iraq di Saddam Hussein. Gli interrogativi in questo caso sono molteplici; inizialmente si è parlato di armi di distruzioni di massa, causa che di per sé, secondo un approccio realista, non può eguagliare neanche lontanamente i costi di un conflitto armato per il quale gli investimenti economici e le perdite umane sono certe e rilevanti; è stato poi rivelato che le informazioni sulla presenza di queste armi erano false, dunque sono state sfruttate demagogicamente per far leva sulle angoscie del popolo americano e convincere l'opinione pubblica che quel conflitto sarebbe stato necessario ed inevitabile ai fini della sicurezza. E' così che il dilemma della sicurezza, in una originale e quanto mai profana versione, riacquista quel ruolo tutt'altro che superato di fattore fondamentale ed intrinseco nell'agire di ogni stato e delle sue istituzioni; è tornato prepotentemente alla ribalta per le democrazie occidentali che dopo la caduta dell'Unione Sovietica mai avrebbero potuto pensare che il nemico sarebbe riuscito a colpirli proprio nei loro centri principali, nel loro cuore (New York e Londra). Se è vero che Bin Ladin e i talebani afghani erano strettamente legati non è stato dimostrato quale fosse il legame tra Saddam e il terrorismo; questo aspetto non si può sottovalutare e conseguentemente è ovvio porsi una domanda: quali sono i reali motivi dell'attacco all'Iraq?
In termini riduzionisti affrontare la guerra in Iraq non porta molto lontano nelle riflessioni; la questione medio-orientale non si può non trattarla se non in linea con un approccio che tenga conto di tutto il sistema, un'azione contro uno stato di questa zona influisce politicamente e strategicamente su tutti quelli vicini ed economicamente sul resto del mondo a causa delle ingenti risorse petrolifere da cui tutti dipendiamo. Ogni semplificazione eccessiva, ogni riduzione del problema ad una sola causa predominante può essere dannosa e cela molto spesso modalità di riflessioni ideologiche e superficiali.
Cercando di analizzare comunque a fondo è realistico ipotizzare che gli americani vogliano che nasca in Medio-Oriente una nuova democrazia che possa essere in futuro un avamposto contro Al Qae'da, contro quella “Spada dell'Islam” che vorrebbe estendere il suo dominio proprio su quella terra; si è cercato di evitare in anticipo che alla plausibile caduta del regime di Saddam se ne fosse instaurato uno nuovo di tipo islamico come ulteriore base per il terrorismo. Dalle armi di distruzioni di massa si è passati in questo modo al concetto di “guerra preventiva”, di “esportazione della democrazia”, dei suoi principi di tolleranza e di risoluzione pacifica dei conflitti interni ed esterni dello stato.
Nessuno oggi può credere che l'obbiettivo di Bush e dei leader che concordano con lui sia rovesciare tutte le dittature del mondo per esportare democrazia, i costi sarebbero enormi, improponibili, i vantaggi difficilmente quantificabili, inoltre ci si scontra con l'idea che ogni stato dovrebbe essere esso stesso artefice del proprio destino secondo il principio internazionale della non-ingerenza di altri stati nelle vicende politiche interne di uno stato. La guerra in Iraq è giustificabile solo sottolineando il problema centrale, cioè che trattando la situazione medio-orientale, le sue risorse energetiche e il terrorismo ogni vicenda interna ai singoli stati di questa zona diventa una questione internazionale che la omonima comunità non può non considerare. Nessuno si sognerebbe di attaccare la Cina comunista, anche se effettivamente molti riferiscono che alcuni diritti, quali quello della libertà di informazione e di espressione non vengono rispettati; la moralità delle relazioni estere degli stati è spesso molto flessibile e schizofrenica, si adatta a condizioni, interessi e vantaggi contingenti e non persegue perciò solo alti ideali quali la tutela dei diritti fondamentali degli uomini, della loro libertà, del principio di autodeterminazione dei popoli, del diritto a un giusto processo, non ci sarebbe altrimenti bisogno di tante organizzazioni non governative ed umanitarie.
La guerra al terrorismo non può essere ridotta a guerra contro qualche stato, sarebbe un grave errore e ne è prova il fatto che in tutto il Medio-Oriente la situazione non è migliorata, gli attentati non diminuiscono e l'obbiettivo della sicurezza interna delle democrazie occidentali è tutt'altro che raggiunto. Il dubbio che si sia fino ad oggi sbagliata strategia è sempre più diffuso, si profilava e professava a partire dal 2001 uno scontro apocalittico di civiltà mentre oggi al contrario, da più parti si ripete che si deve perseguire una politica del doppio binario, lotta ferma la terrorismo e dialogo costante con l'Islam moderato.

Il terrorismo

A questo punto è doveroso compiere delle osservazioni concernenti la sua definizione.
Molti stati nella loro storia nazionale hanno avuto e hanno ancora necessità di contrastare il terrorismo che nasce, si sviluppa e colpisce all'interno degli stessi confini; questa esperienza accumulata dovrebbe poter essere utile per tutti gli stati, in realtà appare del tutto insufficiente perché il terrorismo che si è costretti a fronteggiare è una rete vasta e sfumata della quale è molto complesso comprendere ed identificare le direzioni e le ramificazioni, i legami tra le sue componenti. E' anch'esso sul carro della globalizzazione e gli stati di fronte a questo fenomeno si trovano spesso in grande difficoltà, non si riesce a controllare tutti i flussi informativi che si muovono in maniera quotidiana e costante grazie agli strumenti di comunicazione, tra quali Internet è diventato uno dei principali.
Dietro gli attentati terroristici quotidiani è evidente che non vi sia il semplice obbiettivo di spaventare e di angosciare i popoli delle nazioni occidentali e dei paesi islamici moderati, il progetto religioso secondo Bin Ladin è quello di purificazione e rinascita dell'Islam, un ritorno all'antica supremazia dove esso è nato con la legge sacra dei Califfati, la realizzazione di quella comunità islamica unica, Ummah, progetto che già in passato era sfumato. Ad esso si affianca un programma politico le cui finalità essenziali sono il ritiro degli americani e degli europei dal Medio-Oriente, il conseguente completo controllo delle risorse, la distruzione di Israele e il rovesciamento di tutti i regimi dipendenti dalle vecchie potenze coloniali in Africa, Asia e Medio-Oriente. Questo è nei punti fondamentali il programma di Al Qa'eda. La coalizione islamica mondiale concordante apertamente o no con queste idee può essere considerata come una sorta di network fondata sulla comunicazione tra le tante moschee che si trovano in Europa, Asia, Africa e America. Per questo all'interno è probabile che si nascondano ed agiscano potenziali terroristi, anche all'insaputa della maggioranza dei fedeli che frequentano le stesse moschee. Esse come afferma Clifford Geertz oltre che luoghi di preghiera possono fungere da centri di riflessione ed iniziativa.
La forma organizzativa è piuttosto controversa. Si è individuato nel nucleo centrale Al Qae'da (base, fondamento e origine per la rinascita dell'Islam) che ha agito in tutto il Medio-Oriente cercando di estendere la sua influenza, la sua visione, arruolando seguaci disposti a seguire i suoi precetti fino ad accettare il martirio, il suicidio come forma di combattimento. Essa si appoggerebbe a Bin Ladin come stratega politico, il leader del progetto contro la decadenza dell'Islam e gli infedeli, e al suo impero commerciale e finanziario che comprende il Saudi Bin Ladin Group(SBG) e i traffici illegali di droga, di cui il vero capo è considerato il fratello Salem. Vi sono all'interno diverse correnti ma ciò che è importante sottolineare è che risultano tutte unite nella lotta all'Occidente. La struttura è dunque capillare, ma ancora oggi non si comprende con precisione se vi siano frequenti contatti tra le diverse cellule ed Al Qae'da o se agiscano in gran parte autonomamente, in piccoli gruppi che riescono a pianificare gli attentati. E'credibile supporre che Al Qae'da dia le indicazioni riguardo al luogo e alla data dell'attentato e che lasci poi alle singole aggregazioni di terroristi la programmazione dell'azione, la fabbricazione dell'esplosivo e il reclutamento di kamikaze. Così si scopre tragicamente che i terroristi kamikaze sono spesso proprio figli della nazione in cui colpiscono, dove hanno vissuto, studiato e lavorato. L'insicurezza si fonda proprio su questo dato di fatto. Il tema è da esaminare globalmente, non è un problema di frontiere, mai come in questo caso è necessario un coordinamento delle forze di polizia, di sicurezza, dei servizi segreti. Va combattuta la lettura del Corano che da testo di preghiera diventa dichiarazione di guerra; questo significa agire sul doppio binario e lo si fa solo con il frequente dialogo con l'Islam che ripudia questi atti. L'intensità e la profondità di questo indottrinamento non può portare a liquidare il terrorismo una volta scovati i terroristi attivi, perché innanzitutto come dimostrato il risultato è difficilmente raggiungibile visto la vastità del fenomeno e l'impossibilità del controllo totale di tutti gli stati del mondo, in secondo luogo ci saranno potenziali terroristi nella misura in cui sedicenti guide spirituali riusciranno ad anestetizzare le menti di candidati kamikaze che credono che il loro martirio possa servire alla causa dell'Islam, del loro Islam aggiungerei, e a ciò possono credere se non si fanno passi in avanti nella normalizzazione dell'Iraq in cui avvengono quotidianamente stragi come quelle avvenute a Londra e Sharm En Sheik ma che raramente fanno lo stesso clamore, un altro fondamentale segnale giungerebbe se il conflitto israelo-palestinese si risolvesse e se perciò si riuscisse a procedere con decisione verso soluzioni politiche accurate. E' comunque difficile prevedere il terrorismo internazionale come un peso che l'umanità dovrà portarsi per lungo tempo addosso vedendone quotidianamente i suoi effetti, questa idea nasce dal fatto che risulta improbabile reggere ideologie di tale portata in così tanti paesi senza un'istituzione stabile come può essere quella di uno stato.

Non si può perdere l'occasione di parlare dei contenuti, cedere solo all'emotività delle stragi di innocenti senza discussioni che chiariscano almeno in parte non fa che offrire al terrorismo nuovi adepti, non si può cadere nell'errore di voler perseguire una politica di circoscrizione ed isolamento dell'Islam.

Nico Guzzi

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