14 gennaio 2006

Dolce Stil Novo

Esiste qualcosa nella nostra vita a cui ci leghiamo senza pensare un giorno di sostituirlo quando sarà superato? Forse, o almeno lo spero, anche se in realtà per “la cultura dei rifiuti” descritta da Zygmunt Bauman questo atteggiamento è così poco diffuso che la sua negazione sembra estendersi addirittura alla sfera affettiva, “scambio due parole con te perché sei l'unica forma umana da me reperibile in questo momento”, il miglior preludio della solitudine; da questo punto di vista viene a stemperarsi una delle migliori qualità dell'uomo, cioè la capacità di adattarsi e di potersi porre comunque all'interno di un gruppo di persone senza dover snaturare il proprio Io per essere ascoltato o per lo meno interpellato. La cultura del rifiuto sembra muoversi con una unilaterale ed ossessiva spinta verso il nuovo (ad esempio pubblicità quali “E' arrivato il momento di sostituire la tua vecchia lavatrice, il tuo vecchio ferro da stiro.”) Si estirpa dalla società l'idea che molte delle cose che già ci sono possono essere adattate al trascorrere del tempo, la Moda prima era un mezzo di inclusione all'interno di cerchie di persone di un certo livello, medio alto per lo più, la maggioranza della popolazione ne restava fuori, oggi invece ha abbracciato praticamente tutti i campi dell'esistenza e della produzione umana cosicché nei casi limite persino le musiche Rap e R'n B che nascevano nei ghetti americani dei neri oggi sono diventate icone della Moda. Qualcuno potrebbe sottolineare che ciò è un bene perché adesso è accessibile a molti. Da un lato è vero ma è altrettanto vero che chi ne rimane fuori è molto più emarginato di quanto poteva esserlo nel passato, perché, com'è ovvio, un fenomeno che acquista una certa globalità e trasversalità ha risvolti molto più rilevanti di un fenomeno di nicchia. Se compro un cellulare dopo un mese sono già a guardare nei negozi i nuovi modelli? La sostituzione sistematica del vecchio mette a dura prova la cultura che dovrebbe fungere da collante della società, generatrice di stabilità, in questo modo rischia di avere al suo interno il germe de-strutturante della cultura stessa, cioè l'evoluzione e il progresso della cultura potrebbero portare paradossalmente alla stessa distruzione della cultura che tende ad includere ogni nuova tendenza. L'esempio è l'accettazione senza discussione del multiculturalismo che dovrebbe essere una pacifica ma pur sempre critica convivenza delle diversità culturali, in realtà nella maggior parte dei casi si ha un'idea vaga e distratta delle differenze tra una cultura e l'altra, dunque che tipo di multiculturalismo è questo? L'inclusione della diversità non deve passare per l'idea che esiste una cultura dominante e altre che hanno un ruolo più marginale, altrimenti l'inclusione è fittizia, è una sorta di adozione di una cultura considerata “minore” da parte di una cultura che si considera addirittura migliore con l'intento celato di volerla adattare alla propria. Così al multiculturalismo si contrappone inevitabilmente il neoregionalismo che tenta di barricarsi e di difendersi dalla globalizzazione del mercato e dalla quasi conseguente uniformazione culturale.
Seguendo questo modo di incedere della cultura credo che se l'esistenza umana sulla terra durerà almeno altri 200 anni non si potrà non arrivare che ad unico governo mondiale, un unico popolo.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Io è da tempo che avevo a priori escluso la possibilità di creare un mondo unito culturalmente e non, ma la mia spiegazione (sia verso me stessa, che verso gli altri) non era stata molto chiara. Il discorso che hai fatto tu riguardante la moda ad esempio, o la musica, o il fatto della "cultura più importante" che tende ad inglobare quelle "meno importanti" è molto interessante, hai fornito una rosa abbastanza emblematica. Invece, riguardo al mio intervento, sono d'accordo con te, ma se speriamo che l'ignoranza di certa gente possa svanire, siamo solo dei sognatori... but we are not the only ones (stravolgendo le parole di John Lennon, non sono sicura che abbia ancora un senso la frase... tralasciamo...).
Eh, la vie...

Nico Guzzi ha detto...

dopotutto sognare non costa nulla, costa più illudersi in termini psicologici e a volte anche fisici

Anonimo ha detto...

Meno male che è sentito, ci mancava che non gliene importasse niente a nessuno...

Nico Guzzi ha detto...

hahaha, sei una femminista accanita..

Anonimo ha detto...

Finchè esisteranno le religioni o cmq la gente rimarrà attaccata alle proprie tradizioni, i suoi usi e i suoi costumi ciò non accadrà mai.
Non stò acccusando nessuno io non bombarderei solo il medio orente ma anche la città del vaticano....va beh io bombarderei da firenze in giù ma questo è un altro discoro...
Per quanto riguarda invece il discorso sul consumismo io lo vedo come un sopravvento dell'ideologia "di destra" nella società:
La gente compra la giacca di Richmond per naconderci dentro la propria merda interiore,
curano molto l'apparenza perchè hanno paura di loro stessi, di come sono come persona.
Oppure hanno paura dei giudizi negativi che possono arrivare da chi veste firmato
Ma sai dove li mando io Dolce e Gabbana?? ...no li no perchè gli piace a quei due froci di merda!
Conosco una ragazza che è andata a letto con uno perchè aveva un bel paio di scarpe!
Un'altro non ha i soldi per mandare la propria figlia a scuola ma ha l'ultimo modello dell'alfa sotto al culo!
Claudio ha ragione stà arrivando la fine.

Anonimo ha detto...

Anzitutto complimenti per la riflessione.
Io credo che oggi più che mai il guanto si sia rovesciato, cioè: se ieri erano in pochi nell' elitè delle mode e i più vivevano nella società "di base" (ma più vera e concreta), oggi tutti, o per lo meno la maggior parte, vogliono rientrare nell'elitè dei "fighi"(perchè l'evoluzione della società te lo permette, o cmq ti fa credere che sia possibile) dandosi così ad un consumismo sfrenato ed irragionevole, credendo che l'ultimo modello di jeans ti possa elevare nell'olimpo degli uomini realizzati e vincenti, raggiungendo spesso scenari grotteschi, soprattutto quando il consumismo sfrenato è compiuto da che non se lo può permettere (vedi esempi di che fa un mutuo per la macchina e poi non ha di che mangiare...).
Il risultato è una corsa continua e circolare, un cane che si mangia la coda, una società alienata dalla vita concreta, dalle necessità/problemi principali, che vive o vorrebbe vivere il ruolo da protagonista in una fiction incantevole ed infinita. Il grande fratello è la meta dei ragazzi di oggi, la TV, la finzione; altro che un concerto, un lavoro concreto,qualche buona opera in un'associazione, un momento di riflessione, la scrittura o la lettura di un buon libro. Queste sono considerate cose superate, e spesso anche il gesto culturale, artistico, di protesta o musiciale, si riduce ad una moda passeggera nel momento in cui viene fagocitato da internet e dai media, perdendo quindi la sua natura, omologandosi, e venendo risputato non appena arriva una nuova onda da sfruttare. In ques'ottica forse un domani si arriverà davvero ad una cultura unica e diffusa, ma più che cultura sarà un' omologazione di basso livello, per giunta presuntuosa