30 ottobre 2011

Welcome home (pt.12)

E' incredibile come all'interno del corpo umano possa esserci un organo come l'intestino lungo una decina di metri. Ancora più incredibile è vederne uno srotolato per terra, in mezzo ad una melma di sangue, brandelli di carne ed un numero imprecisato di cadaveri. La scena non si discostava da quelle viste a decine in televisione che riguardavano le fosse comuni improvvisate ai lati delle strade distrutte durante i periodi di guerra. Uno spettacolo solo per chi aveva abbastanza stomaco per guardarlo.
Stefano restò paralizzato con gli occhi spalancati. Ogni pensiero si fermò. Possibile che ciò che vedeva fosse reale? Forse si trattava di un sogno. E perché stavolta non stava sognando la cara docente universitaria? Era un grande appassionato di horror ma di certo non avrebbe mai creduto che tutti quei litri e litri di inchiostro versati per storie di mostri, cannibali, vampiri, alieni e paccottiglia varia avrebbero mai potuto descrivere una situazione che si sarebbe ripresentata nella realtà quotidiana. Ma l'odore pesante che penetrava nelle sue narici era lì a ricordargli che non era sul set di una serie televisiva o di uno splatter per il grande pubblico. Un'ecatombe vera e propria.
Lo strobo continuava ad andare, ma spegnendosi e accendendosi ad intermittenza casuale, sfrigolando, su di esso vi era l'impronta rossa di una mano allungata, come se qualcuno avesse tentato di aggrapparsi. Stefano non riusciva a riconoscere nessuno in quella distesa stile sfasciacarrozze in cui gli umani erano diventati le carrozze. Si fece strada tra i corpi cercando di non cedere ai conati di vomito. 
Sentì un rumore, come se qualcosa stesse rotolando sul pavimento. Proveniva dall'interno del locale. Senza troppa convinzione si diresse verso la porta. Forse sarebbe stato meglio scappare ma sotto tensione si compiono spesso le scelte più stupide. 
Non vedeva nulla di strano. L'ambiente era illuminato dalle luci di emergenza. La situazione era tranquilla. Ma la porta della cucina era chiusa ed era lì dietro la sorgente di quel rumore. 
Diamo un'occhiata e poi via a chiamare i carabinieri. Spinse lentamente una delle due ante della porta. Il suono era poco più in là. La cucina aveva una serie di fornelli e forni tutti disposti in una struttura quadrata centrale. Esisteva quindi solo un lato di cui non riusciva ad avere piena visibilità, quello di fronte.
Un braccio! Un braccio per terra, quello lo vedeva, il corpo era nascosto però. C'era un'altra porta sul retro della cucina ed era quasi spalancata. Non aveva intenzione di fare altri passi. La curiosità era stata divorata dalla paura. Bisogna andare via da qui. Spuntò improvvisamente un bicchiere, poco vicino al braccio, rotolava; con lui dopo qualche istante apparì il muso di Gionnidippo, il segugio maremmano del padrone del Tundra. Stava giocando con un bicchiere vuoto. Si accorse che c'era Stefano ad osservarlo, dopo averlo fissato per qualche secondo si mise ad abbaiare. 
"No, no, stai tranquillo, non ti ricordi di me Gionni?" Stefano si avvicinò per provare a tranquillizzarlo. In realtà il cane voleva solo attirare la sua attenzione. Infatti quando Stefano fu così vicino da scorgere l'intero corpo di un uomo il cane si quietò, riniziando a giocare con il bicchiere. Era il Tundra, il proprietario, riverso a terra con la parte sinistra del corpo mangiata, dalla spalla fino all'altezza dell'ombelico. Stefano si girò verso un lavandino e vomitò come mai aveva fatto nella sua vita. Il suo organismo stava mandando segnali inequivocabili: scappare. Per questo uscì con molta più decisione di quando era entrato, non c'era tempo da perdere, non guardava più nemmeno per terra, la paura di veder persone conosciute era troppo forte, per cui manteneva lo sguardo alto. Porca puttana, ma saranno un centinaio di persone! 
Una mano da terra afferrò il piede di Stefano lasciandolo subito. Rischiò di cadere e trovarsi faccia a faccia con una delle tante persone sbranate ma per fortuna riuscì ad aggrapparsi ad un paletto di recinzione. 
Non ebbe il coraggio di tornare indietro e controllare. Basta, io qui da qui me ne devo andare. E poi se si tratta di zombie che si stanno per risvegliare? Ho visto troppi film del genere
Si allontanò dal locale a passo veloce, dirigendosi verso il parcheggio per trovare la decappottabile di Roberto. Non c'era. Forse è stata spostata. Ma non mancava solo la sua. Il parcheggio era vuoto. 
"E' uno scherzo?" urlò con la voce incredula di chi si sta avvicinando al confine della follia. Scoppio a ridere, gli sembrava di essere il protagonista dell'Armata delle tenebre. Dalla boscaglia di nuovo quel barrito disumano.
Non poteva più stare fermo a guardare. Decise di tornare in paese facendosi il vialone a piedi. Iniziò così correre con quella poca energia che rimaneva, ignaro che qualcosa, qualcuno, lo stava seguendo alla sua stessa velocità in parallelo, muovendosi all'interno della vegetazione sul lato sinistro della strada. 
Poco più avanti, a metà vialone, c'era un vecchio maneggio sulla destra con abitazione annessa. Si fermò per riposarsi piegandosi sulle gambe. Non sono più allenato. Il fiatone era così forte da dargli una sensazione di soffocamento. Si guardò intorno. Magari qui c'è qualcuno a cui chiedere aiuto.
Non sembrava essere abitata. Superò il recinto ed entrò nel cortile. Non trovando il campanello provò a bussare con forza al portone principale chiedendo ad alta voce se c'era qualcuno. Nessuna risposta. Il casale era abbandonato. Per esserne sicuro fece comunque un giro intorno alla casa. Nella stalla non c'erano cavalli o altri animali. 

In lontananza alcuni cric-croc tipici dei rami che si spezzano camminandoci sopra. Sarà una lepre. 
A quel rumoreggiare fece seguito un rantolo che cresceva per intensità. Ma una lepre non respira così. Decise di rifugiarsi un po' in casa. La porta era socchiusa per cui fu semplice entrare. Grazie a dio. 
Una volta dentro chiuse con il catenaccio senza perdere un attimo. Subito dopo qualcosa colpì la porta fino quasi a sfondarla. Il rantolo ora era proprio lì fuori, a due passi. Stefano appoggiato con la schiena alla porta aspettava terrorizzato un nuovo colpo. Cosa cazzo è! Ma quella cosa era ferma, forse appoggiata alla porta come Stefano, in attesa di una sua mossa. Passarono un paio di minuti, nessuno si mosse, dopodiché il rantolò si allontanò. Qualunque cosa fosse se ne stava andando. Basta sorprese! 
Stefano si accorse che stava tremando come una foglia, ancora qualche istante ad ascoltare quel respiro selvaggio e si sarebbe pisciato addosso, qualora non avesse ceduto prima il cuore.
Cercò nell'oscurità di capire se c'era qualche lampadina, candela, qualunque cosa potesse fare luce. Iniziò a vagare a tastoni per la casa. Era piuttosto spoglia, in un mobiletto c'erano molte cose, qualche libro, 20.000 lire, un paio di occhiali da vista, un vecchio album di foto. Nulla di utile. Proseguì, in un'altra stanza, probabilmente la cucina, rovistò in un'altra cassettiera. Trovò una torcia e qualche candela. Ci sarà da qualche parte anche l'accendino. Ed infatti in un altro cassetto tra coltelli e forchette scovò un accendino funzionante. Accese le candele e illuminò la cucina e quello che si rivelò essere un soggiorno, rustico ed essenziale. Sul tavolo però c'era qualcosa di recente, una copia del giornale del giorno stesso, parlava delle uccisioni al Parco di Roncolo e dello studio di AlmaLaurea. Vuoi vedere che c'è qualcuno qui? 
Così accese la torcia, la sua luce era piuttosto fioca ma intensa abbastanza per ispezionare gli altri ambienti. Fece le scale cigolanti in legno e si diresse al primo piano sperando di trovare una camera da letto. La prima porta era quella di un bagno, la seconda uno stanzino dove erano ammassati vecchi vestiti e uno stendino per i panni. La terza porta era quella giusta. Illuminò con la torcia. Non c'era nessuno, il letto era sfatto come se qualcuno se ne fosse andato di fretta. I traslochi andrebbero fatti sempre con calma. 
Anche se in cuor suo sapeva benissimo che qualcuno ci aveva dormito fino a poche ore prima. Squillò un telefono. E' il mio cellulare che suona? Dov'è? Stefano lo trovò tastandosi le tasche, ma era spento.
Si catapultò giù dalle scale. Il telefono che suonava era al piano di sotto, si trattava di uno di quelli a rotella, vecchio, vecchio e consumato, e non un nuovo vintage. 
"Pronto! Aiuto! Ho bisogno di aiuto..."

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