Di
corsa, di nuovo di corsa, passo dopo passo. Ormai Stefano correva ad
intermittenza da più di un'ora. Sembrava stesse facendo quell'allenamento distruttivo che chiamavano Guerrilla Cardio. Ed in
effetti nel suo petto più e più volte il battito aveva raggiunto la
soglia massima di battiti al minuto che il suo organismo era in grado
di reggere. Il fiato era corto e strozzato dalla paura. Il buio, e
forse non solo quello, continuava a seguirlo. Aveva la sensazione che
il fine vita tranquillo che aveva immaginato e sperato per se stesso,
magari nel letto di casa durante il sonno, era molto diverso da
quello che gli si prospettava. Illuminò con la torcia i corridoi già
percorsi.
Ok. Non si va nè di qua e né di là, forse di fronte alla scala c'è una strada che mi sono perso.
Infatti c'era un altro corridoio a cui non aveva fatto caso e che il carabiniere non ne aveva menzionato. Era parallelo al primo che aveva percorso insieme a Roberto da quanto era salito a quel piano.
Ok. Non si va nè di qua e né di là, forse di fronte alla scala c'è una strada che mi sono perso.
Infatti c'era un altro corridoio a cui non aveva fatto caso e che il carabiniere non ne aveva menzionato. Era parallelo al primo che aveva percorso insieme a Roberto da quanto era salito a quel piano.
Tentando
di mantenere un passo felpato si accinse a percorrerlo; nel frattempo
con le orecchie cercava di captare qualsiasi suono.
C'erano tante vibrazioni nell'aria, ma non oltre il livello di
guarda, ammesso che esistesse in quella situazione un livello di
guardia accettabile, in fondo non escludeva che da un momento all'altro
quella cosa gli sarebbe saltata al collo e l'avrebbe fatto a
brandelli.
La
scala, la scala! Sulla parete c'erano tre lunghe ditate di sangue.
Di chi
saranno? Forse Roberto è riuscito a scappare.
E' incredibile come un uomo sia in grado di sperare e credere in qualcosa anche quando sembra palese che sia stato varcato il punto di non ritorno.
Di
nuovo una canzone. Vibrazione oltre il livello di guardia. Questa
volta sembrava provenire dal piano di sotto, proprio nella direzione in
cui andava.
Non me ne frega un cazzo! Devo
provare ad uscire! Fosse l'ultima cosa che faccio nella mia vita.
I
muscoli lanciavano fitte di dolore, la tensione era tanta e non
scemava, ma Stefano era cosciente che l'unico modo per sopravvivere
era uscire da quel palazzo nel quale si aggirava una creatura
affamata di carne umana.
Uno
scalino alla volta, un anno di vita in meno alla volta, un battito
cardiaco in meno di distanza dalla morte.
Conclusa
la prima rampa di scale poté intravedere un po' di luce, poca,
tenue, bianca, erano le luci di emergenza che evidentemente
nell'altra ala del comune funzionavamo.
Meglio
di niente.
L'ultima
rampa e finalmente si sarebbe trovato nuovamente al piano terra, dall'altro lato. Avrebbe poi dovuto percorrerlo tutto per trovare
l'uscita.
Tic
Tac Tic Tac Tic Tac, un orologio. Un grosso orologio appeso al
muro che era rivolto alle scale.
Siamo
in 7 miliardi su questa terra, ci vorrebbe proprio uno sterminatore di umani. Comunque gradirei
stare tra i sopravvissuti.
Era
al piano terra. Passò di fianco all'orologio. Un urlo rimbombò fino alle sue orecchie dal piano
superiore.
Stefano
stava entrando in uno stato di trance. Il tic tac lo ipnotizzava, camminava come
uno zombie, al ritmo delle lancette dell'orologio. Tic, tac, tic,
tac, era sopraffatto dagli eventi, sentiva che le ombre lo stavano
per divorare; aveva l'impressione di essere seguito; ogni pochi passi
si girava a destra, a sinitra, guardandosi le spalle, niente, non
vedeva nulla, ma qualcosa c'era, lo sapeva, i sensi che si attivano
in stati in cui in gioco c'è la sopravvivenza sono tantissimi,
normalmente ignoti.
Camminò
fino alla fine del corridoio.
Bingo!
Trovò il portone, era una di quelle
uscite di sicurezza con il maniglione antipanico.
Sono fuori dall'inferno! Libero! Salvo!
Ma la sua mente si era spinta molto oltre tradita dall'immaginazione e dalla speranza.
L'uscita
era chiusa. Cercò di forzare ma un grosso catenaccio all'esterno bloccava la porta.
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