01 dicembre 2011

Welcome home (pt.17)

Di corsa, di nuovo di corsa, passo dopo passo. Ormai Stefano correva ad intermittenza da più di un'ora. Sembrava stesse facendo quell'allenamento distruttivo che chiamavano Guerrilla Cardio. Ed in effetti nel suo petto più e più volte il battito aveva raggiunto la soglia massima di battiti al minuto che il suo organismo era in grado di reggere. Il fiato era corto e strozzato dalla paura. Il buio, e forse non solo quello, continuava a seguirlo. Aveva la sensazione che il fine vita tranquillo che aveva immaginato e sperato per se stesso, magari nel letto di casa durante il sonno, era molto diverso da quello che gli si prospettava. Illuminò con la torcia i corridoi già percorsi.
Ok. Non si va nè di qua e né di là, forse di fronte alla scala c'è una strada che mi sono perso.
Infatti c'era un altro corridoio a cui non aveva fatto caso e che il carabiniere non ne aveva menzionato. Era parallelo al primo che aveva percorso insieme a Roberto da quanto era salito a quel piano.
Tentando di mantenere un passo felpato si accinse a percorrerlo; nel frattempo con le orecchie cercava di captare qualsiasi suono. C'erano tante vibrazioni nell'aria, ma non oltre il livello di guarda, ammesso che esistesse in quella situazione un livello di guardia accettabile, in fondo non escludeva che da un momento all'altro quella cosa gli sarebbe saltata al collo e l'avrebbe fatto a brandelli.
La scala, la scala! Sulla parete c'erano tre lunghe ditate di sangue.
Di chi saranno? Forse Roberto è riuscito a scappare.
E' incredibile come un uomo sia in grado di sperare e credere in qualcosa anche quando sembra palese che sia stato varcato il punto di non ritorno.
Di nuovo una canzone. Vibrazione oltre il livello di guardia. Questa volta sembrava provenire dal piano di sotto, proprio nella direzione in cui andava.
Non me ne frega un cazzo! Devo provare ad uscire! Fosse l'ultima cosa che faccio nella mia vita.
I muscoli lanciavano fitte di dolore, la tensione era tanta e non scemava, ma Stefano era cosciente che l'unico modo per sopravvivere era uscire da quel palazzo nel quale si aggirava una creatura affamata di carne umana.
Uno scalino alla volta, un anno di vita in meno alla volta, un battito cardiaco in meno di distanza dalla morte.
Conclusa la prima rampa di scale poté intravedere un po' di luce, poca, tenue, bianca, erano le luci di emergenza che evidentemente nell'altra ala del comune funzionavamo.
Meglio di niente.
L'ultima rampa e finalmente si sarebbe trovato nuovamente al piano terra, dall'altro lato. Avrebbe poi dovuto percorrerlo tutto per trovare l'uscita.
Tic Tac Tic Tac Tic Tac, un orologio. Un grosso orologio appeso al muro che era rivolto alle scale.
Siamo in 7 miliardi su questa terra, ci vorrebbe proprio uno sterminatore di umani. Comunque gradirei stare tra i sopravvissuti.
Era al piano terra. Passò di fianco all'orologio. Un urlo rimbombò fino alle sue orecchie dal piano superiore.
Stefano stava entrando in uno stato di trance. Il tic tac lo ipnotizzava, camminava come uno zombie, al ritmo delle lancette dell'orologio. Tic, tac, tic, tac, era sopraffatto dagli eventi, sentiva che le ombre lo stavano per divorare; aveva l'impressione di essere seguito; ogni pochi passi si girava a destra, a sinitra, guardandosi le spalle, niente, non vedeva nulla, ma qualcosa c'era, lo sapeva, i sensi che si attivano in stati in cui in gioco c'è la sopravvivenza sono tantissimi, normalmente ignoti.
Camminò fino alla fine del corridoio.
Bingo!
Trovò il portone, era una di quelle uscite di sicurezza con il maniglione antipanico.

Sono fuori dall'inferno! Libero! Salvo!

Ma la sua mente si era spinta molto oltre tradita dall'immaginazione e dalla speranza.
L'uscita era chiusa. Cercò di forzare ma un grosso catenaccio all'esterno bloccava la porta.

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