25 luglio 2012

Il calciatore

"Io voglio solo giocare a calcio papà!"
"Ma non ti rendi conto che sei malato?"
"Per me la vita è il profumo dell'erba del campo da calcio, un gol segnato in contropiede sul filo del fuorigioco, una punizione nel sette, le botte che ricevo e che dò, la stretta di mano all'arbitro e agli avversari a fine partita, l'odore del sudore condensato negli spogliatoi a fine primo tempo, la gioia per aver vinto la partita, il sentimento di rivalsa per essere entrato dalla panchina e aver fatto gol, i cori dei tifosi, i fischi, la corsa verso gli spalti, gli sfottò, l'amarezza della sconfitta e la voglia di tornare ad allenarsi per rimettersi subito in carreggiata e provare di nuovo a vincere."
"Perché non capisci Roberto?"
"Tu non capisci!"
"Non puoi andare avanti così, te ne rendi conto? Le analisi, i risultati delle analisi e il parere dei medici, non conta nulla? Puoi farti tantissime vite fuori dal calcio, sei ancora giovane!"
"E se i dottori si sbagliassero? Non posso smettere, ho appena iniziato a divertirmi di più proprio negli ultimi tre anni, finalmente sono nella squadra giusta e posso esprimermi al meglio."
"Potevi esprimerti al meglio, ora non più."
"Vaffanculo! Vaffanculo! Se non vuoi aiutarmi vaffanculo!"
"Ti prego, ascoltami, ti voglio aiutare, salvarti. Ti prego ascoltami."
Roberto andandosene "così non mi salverai papà, mi ucciderai!" Uscì di casa sbattendo la porta. Si mise a bordo della sua Cinquecento dirigendosi verso il campetto dove giocava da bambino con gli amici. Lo decise all'improvviso, dopo aver posato il sedere sul sedile dell'auto, un'illuminazione, una gioia improvvisa nel pensare a quegli anni, una voglia irrefrenabile di vedere se esisteva ancora quel luogo o se era stato sostituito da qualche nuovissimo complesso residenziale.

Giunto a destinazione con immenso piacere si accorse che il campetto era ancora lì, trasandato come sempre, depilato al centro e con poca erba sulle fasce. Era divenuto terra di stranieri, extracomunitari che comunque provavano ad onorarlo dando due calci al pallone senza troppe pretese, divertendosi.
Alle sette di un caldo e luminoso pomeriggio di maggio Roberto si accingeva a ritornare alla sua infanzia con l'aiuto di un gruppetto di indiani.

"Posso giocare?"
Uno di loro: 
"Tu? Ma tu sei Robby! Forza Milan! Mia squadra preferita sai Milan!"
Roberto senza perdere tempo e indicando 3 persone disse:
"Voi 3 giocate con me e voi quattro contro di noi."
"Ciao Robby, io sono Omar, in porta sono meglio di Sebastiano Rossi."
"Speriamo1 Di sicuro sei meglio di me!"
E la partita iniziò, non c'erano le telecamere delle prime tv a pagamento, non c'erano macchine fotografiche, non c'erano le urla dei tifosi; si sentivano invece tutti quei suoni dal sapore antico, nostalgico, il rumore di qualche auto che passava nella via che costeggiava il campo, quello del pallone, dei passi, del cuore, le voci dei compagni e degli avversari.
Roberto era imprendibile, correva come una scheggia, con e senza palla al piede, partiva dalla difesa, entrava quasi in porta con il pallone e poi si divertiva a lasciarlo agli altri sfornando assist che puntualmente qualcuno piazzava in rete; era impossibile sbagliare. In quel campetto poteva trasgredire la regola che gli avevano sempre detto di seguire "quando vedi lo specchio tira senza pensarci due volte, sei un attaccante, un bomber, non dimenticarlo mai!".
Ma in quel momento non era Roberto il Grande, era solo il Roberto sorridente e appagato che giocava con i suoi nuovi amici indiani, come avesse ancora dieci anni, quando era un ragazzino sfigato, lo strano ragazzino che però tutti ricordavano come quello che con il pallone tra i piedi non ce n'era più per nessuno, era poesia, quella che distingui a chilometri di distanza, quella che dici che se pur il calcio fa schifo ci puoi trovare tanta di quell'arte, passione e talento che passano in secondo piano il nome dello sport, le sue regole, le menate, gli scandali, le polemiche. Non resta che la concisa poesia di un uomo che muove il pallone tra i piedi, lo tira, lo passa e lo riprende con la stessa eleganza di un ballerino di danza classica.

Quella fu l'ultima partita a calcio di Roberto, la migliore, la partita della vita.

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